
David di Donatello, come al solito: parata rossa con sfumature arcobaleno. Snobbati i titoli che trionfano al box office, sfila il politically correct
Mentre ci avviciniamo alla serata dei David di Donatello del 7 maggio, con la sua consueta diretta su Raiuno nello storico Teatro 5 di Cinecittà e in diretta sulla rete ammiraglia di Viale Mazzini e su Radio2, RaiPlay e Rai4K, sorge spontanea una riflessione sul panorama delle candidature di quest’anno che, immancabilmente, ancora una volta, hanno fatto prevalere nomi e titoli di riferimento del mainstream. Scorrendo l’elenco dei film e degli interpreti in lizza per l’ambita statuetta, infatti, non si può fare a meno di notare una marcata prevalenza di opere e artisti spesso associati a una certa sensibilità culturale e politica, la solita: quella che sul sentiero cinematografico vira rigorosamente a sinistra.
David di Donatello al via
Sia chiaro: la nostra è un’osservazione che non vuole certo sminuire il valore artistico delle opere selezionate. Né tantomeno la bravura degli attori candidati. Tuttavia, è legittimo interrogarsi se le scelte operate dall’Accademia del Cinema Italiano riflettano in modo equilibrato la pluralità delle espressioni cinematografiche che hanno animato l’ultimo anno. Dunque, come da tradizione anche quest’anno gli oltre 1700 giurati (per lo più tecnici e maestranze della Settima Arte) hanno preferito non candidare titoli di forte richiamo sul pubblico, escludendo di fatto quei pochi film che hanno avuto un riscontro al botteghino.
I candidati al Premio David di Donatello, i più gettonati dal pubblico
Pellicole come Il ragazzo dai pantaloni rosa e Diamanti, rispettivamente 10 e 16 milioni di euro al box-office, ai quali sono andati solo due candidature – e non tra le categorie principali –. Mentre per Un mondo a parte di Riccardo Milani (oltre 1 milione di spettatori per circa 7,5 milioni di euro al botteghino) neanche una menzione, nonostante sia stata una commedia molto apprezzata con due interpretazioni di assoluto valore da parte dei protagonisti Virginia Raffaele e Antonio Albanese.
La gara si gioca tutta in area dem
E allora eccola la gara che si gioca tutta in area dem, con – non a caso – il titolo campione di nomination che è Berlinguer -La grande ambizione, e che, assieme al lungometraggio epico Parthenope di Paolo Sorrentino, ha collezionato ben quindici candidature. A seguire, appena un gradino sotto con 14 nomination, troviamo Vermiglio e L’arte della gioia: l’applauditissima serie Sky diretta da Valeria Golino (titolare che gioca “in casa” ai David in quanto anche componente del consiglio direttivo dell’Accademia del Cinema italiano che organizza il premio).
David di Donatello, domina il gusto “radical chic”
Questi quattro titoli, oltre a Il tempo che ci vuole (che si è assicurato le sue 6 nomination) di Francesca Comencini, compongono le due cinquine più ambite: quelle per il miglior film e la miglior regia. Un quadro, insomma, da cui emerge con nettezza quello che la stessa presidente dell’Accademia del Cinema, Piera De Tassis, definisce «il racconto morale» – tanto per rimanere in tema con il lessico berlingueriano – su cui puntano le produzioni di casa nostra di questo 2025 ideologicamente e forse più che mai appannaggio dei salotti – e delle platee – radical chic.
Eppure al box office…
Poi tantissimi film. La maggior parte dei quali non sono riusciti a trovare il favore del pubblico (Io e il secco, 64 mila euro, Ciao bambino, 27 mila euro, Le Déluge, 188 mila euro, Vittoria, 164 mila euro, Hey Joe, 103 mila euro, El Paraiso 73 mila euro a fronte di milioni di euro di budget e sostegni statali), a scapito soprattutto dei tre titoli dell’anno sopra citati, firmati da tre autori del calibro di Ferzan Ozpetek, Margherita Ferri e Riccardo Milani.
Ozpetek in seconda linea
Se a questo aggiungiamo poi che, per la prima volta, nelle vetrine più glamour delle due cinquine più importanti, tre film su cinque sono stati diretti da registe donne: (Maura Del Pero, la Comencini e la Golino). E che – ironia della sorte – il grande escluso (trascurato?) Ferzan Ozpetek, in quest’annata dietro la macchina da presa per Diamanti – il film decisamente più femminile di tutta la sua storia professionale – ha ottenuto solo due candidature ma che potrebbero andare a rimpolpare l’affollato podio di celluloide di sinistra, l’affresco è ultimato… E tra le diverse sfumature che rappresenta, punta decisamente sul rosso…
David di Donatello, altro che Tele-Meloni…
Pertanto, così per smentire, una volta di più, gufi e cassandre sempre in trincea a lamentare la presunta occupazione da parte del Governo Meloni, oltre che della Rai, anche di Cinecittà. Eppure, tornando al Premio e guardando alle candidature, non si può non notare una scollatura con quelli che sono stati i risultati del botteghino. Un’osservazione, anche qui, che ci porta a rilevare come alcuni titoli che hanno riscosso un notevole successo di pubblico, intercettando un gusto più ampio e trasversale, abbiano ricevuto un’attenzione decisamente minore nelle nomination ai David.
Ma c’è Mika a tenere alto il vessillo
E qui torniamo proprio al caso Ozpetek, che alla premiazione del 7 maggio potrà confidare appunto giusto su Giorgia, in nomination per la migliore canzone originale. E Geppi Cucciari come miglior attrice non protagonista. Ma niente paura: per questa 70esima edizione della kermesse, a rappresentare in prima fila la comunità Lgbt+ in questi David sarà sul palco un artista decisamente più vicino al pensiero woke: Mika, cantautore internazionale che la Rai ha scelto come conduttore della serata cinematografico-televisiva, accanto all’attrice Elena Sofia Ricci.
E per la bolla auto-referenziale
Così, alla fine della fiera, ci si potrebbe chiedere se, in questo modo, non si rischi di alimentare a tutto gas una sorta di “bolla” autoreferenziale, premiando opere che dialogano prevalentemente con una specifica fetta di pubblico e critica, a scapito di quelle che hanno saputo parlare a un’audience più vasta. Il cinema, nella sua essenza, è un’arte popolare, capace di emozionare, far riflettere e intrattenere un pubblico eterogeneo. È auspicabile che i premi più prestigiosi del nostro cinema sappiano riconoscere e valorizzare questa pluralità di voci e di successi, senza cedere a logiche di parte o a preconcetti ideologici.
David di Donatello, la speranza dell’inclusività
Ma tant’è: non ci resta che aspettare con interesse l’esito delle premiazioni. Con l’augurio che, pur rappresentando un riconoscimento autentico, per la prossima edizione possano guardare in modo più “inclusivo” – tanto per citare un termine e un concetto in voga – e spaziare oltre che a sinistra, alla ricchezza e alla varietà del nostro cinema (e del suo parterre di artisti).