
Dall'acero all'euro
Dall’altra parte dell’Oceano, con amore: il Canada strizza l’occhio all’Unione europea (ma Bruxelles ha i suoi dubbi)
Quasi la metà dei canadesi sogna l’Europa: stanchi dei dazi e dei vicini invadenti, ora smettono di pensare all'America e guardano al Vecchio continente con occhi nuovi
Pare che il Canada voglia farsi europeo. Non nei modi classici, tipo bere un espresso senza latte o imparare a lamentarsi del prezzo del gas come un francese qualsiasi. No, qui si parla di un ingresso vero e proprio nell’Unione europea. Con tanto di speranze, sondaggi e studiosi che si spremono le meningi per capire se l’Atlantico sia davvero un ostacolo così insormontabile.
Il Canada flirta con Bruxelles
Secondo un’indagine riportata da Politico, il 44% dei canadesi sarebbe favorevole all’adesione al club di Bruxelles. Forse stufi delle tariffe punitive e dei tweet incendiari che arrivano da Washington, i cittadini del Nord sembrano flirtare con l’idea di voltare le spalle agli yankees e stringere un’alleanza più… continentale.
Geografia batte simpatia
La Commissione europea, per bocca della portavoce Paula Pinho, si è detta “onorata” dell’interesse. Però ha subito sventolato l’articolo 49 del Trattato Ue, che parla chiaro: solo gli Stati europei possono fare domanda di adesione. Insomma, geografia batte simpatia.
Ma se essere europei fosse più una questione di temperamento politico che di longitudine? Ecco che entrano in campo i professori, con la solennità di chi deve spiegare perché il Canada, pur stando dall’altra parte del globo, abbia l’anima da Vecchio continente.
Lo stato mentale dell’europeità
“Essere europei è più uno stato mentale”, ha sentenziato Giselle Bosse, docente all’Università di Maastricht. E qui il dibattito prende una piega quasi psicanalitica. Perché se si tratta di mentalità, allora il Canada, con i suoi ospedali pubblici, il rispetto per i diritti umani e l’aria da eterno scusante che fa tanto Europa post-coloniale, potrebbe effettivamente ambire a un passaporto europeo.
Frank Schimmelfennig, altro accademico, rincara la dose: “Il Canada è probabilmente più vicino ai valori, alle istituzioni e alle politiche europee di molti dei Paesi attualmente candidati”. Insomma, se si guardasse solo alle vibes, il Canada avrebbe già la residenza a Bruxelles.
L’incubo dei trattori francesi
Peccato che poi esistano i trattori. Soprattutto quelli francesi, famosi per comparire nei momenti meno opportuni e sempre pronti a mobilitarsi alla prima bozza di trattato commerciale.
Ian Bond, vicedirettore del Centre for European Reform, ha riportato tutti con i piedi per terra: “Il Canada dovrebbe istituire una frontiera doganale con gli Stati Uniti e applicare dazi e regolamenti dell’Ue alle importazioni statunitensi… Sarebbe un disastro economico”.
E il problema non è solo il costo dei formaggi o dei pickup. C’è anche l’unanimità necessaria per l’ingresso di un nuovo membro. E la Francia, si sa, ha già i suoi mal di pancia. “Quante volte i contadini francesi hanno votato a favore del libero scambio con altri continenti? Più facile vederli dar fuoco ai trattori per impedirlo”, ha detto Bond, con l’ironia di chi ha assistito a più di una manifestazione agricola.
Un amore non corrisposto
Poi c’è la questione dell’orgoglio. I Paesi dell’Est, quando entrarono nell’Ue, parlarono di un “ritorno a casa”. I canadesi, al massimo, parlano di fuga dalla casa del vicino. E secondo la professoressa Bosse, il sondaggio che mostra quasi la metà dei canadesi favorevoli potrebbe essere più un atto impulsivo, una reazione epidermica ai dazi trumpiani, che una riflessione profonda su cosa significhi essere europei.
La gaffe di Carney
Infine, la beffa linguistica. Il nuovo primo ministro canadese, Mark Carney, ha già fatto il suo debutto internazionale scegliendo la Francia per il primo incontro con Emmanuel Macron. Buona idea, sulla carta. Peccato per quella frase detta con l’ingenuità di un turista al Louvre: il Canada sarebbe “il più europeo dei Paesi non europei”.
Un complimento? Forse. Ma a Bruxelles sanno leggere tra le righe. E una sviolinata così, pronunciata troppo in fretta, potrebbe suonare come una candidatura eccessivamente pretestuosa.