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Papa Leone XIV e la Rerum Novarum

Il ritorno di una "visione"

Con Papa Leone XIV alle radici della Dottrina sociale della Chiesa: cosa dice la “Rerum Novarum”

L'enciclica di Leone XIII metteva al centro l'idea corporativa e non a caso fu oggetto delle critiche della stampa liberale e socialista. Diversi Papi l'hanno richiamata, ma negli ultimi tempi era stata un po' "trascurata"

Cronaca - di Mario Bozzi Sentieri - 13 Maggio 2025 alle 07:30

L’elezione al soglio pontificio di Robert Francis Prevost, con il nome di Leone XIV, ha inevitabilmente richiamato all’attenzione dei mass media la figura di Leone XIII, il Papa della Rerum Novarum – si è detto e scritto da più parti. Nella stragrande maggioranza dei casi non si è però andati oltre un generico richiamo, fino ad arrivare a declinare il testo con le lotte alle disuguaglianze globali, con il generico rispetto degli ultimi, fino ad arrivare a toccare le politiche migratorie e l’emergenza climatica.

In realtà il motivo di fondo dell’enciclica emanata da Leone XIII, il 15 maggio 1891, così come specificato in premessa era la “questione operaia”, con particolare attenzione ai rischi del conflitto sociale e alle sue cause determinate dai mutati contesti socio-economici: “… i portentosi progressi delle arti e i nuovi metodi dell’industria; le mutate relazioni tra padroni ed operai; l’essersi accumulata la ricchezza in poche mani e largamente estesa la povertà; il sentimento delle proprie forze divenuto nelle classi lavoratrici più vivo, e l’unione tra loro più intima; questo insieme di cose, con l’aggiunta dei peggiorati costumi – si legge in premessa all’enciclica – hanno fatto scoppiare il conflitto”.

La Rerum Novarum nasce da questa consapevolezza di fondo e da un complesso lavorio culturale, che vide impegnati ecclesiastici, intellettuali, imprenditori cattolici. Tra questi monsignor Wilhelm E. von Ketteler, vescovo di Magonza, René de La Tour du Pin, marchese de la Charce, teorico della restaurazione monarchica e corporativa, l’Unione di Friburgo, sodalizio costituito da sociologi cristiani di vari Paesi, il gesuita Carlo Maria Curci, Padre Matteo Liberatore, fondatore della “Civiltà Cattolica”, il vescovo Geremia Bonomelli.

La struttura dell’enciclica si può definire “didascalica”: dopo l’ introduzione dedicata alla “questione operaia” e alle misere condizioni in cui versano i “proletari”, ormai soli ed indifesi, dopo la soppressione delle corporazioni, “… in balìa della cupidigia dei padroni e di una sfrenata concorrenza”, il Pontefice denuncia il “falso rimedio” che è il socialismo, nocivo nelle sue conseguenze, ingiusto nella sostanza perché disconosce la proprietà privata, essenziale alla natura umana, e perché imposta in maniera errata i rapporti fra lo Stato, la famiglia e i beni. Il “vero rimedio”, titolo della seconda parte, viene individuato nelle “relazioni tra le classi sociali” e quindi negli scambievoli obblighi di giustizia tra i ricchi ed i poveri, i capitalisti ed i lavoratori.

Strumento essenziale per ricostruire la coesione sociale e la collaborazione tra le classi sono le associazioni o corporazioni operaie, nuovamente tutelate dallo Stato, ordinate e governate “… in modo da somministrare i mezzi più adatti ed efficaci al conseguimento del fine, il quale consiste in questo, che ciascuno degli associati ne tragga il maggior aumento possibile di benessere fisico, economico, morale. E’ evidente poi, che conviene aver di mira, come scopo speciale, il perfezionamento religioso e morale, e che a questo perfezionamento si deve indirizzare tutta la disciplina sociale, altrimenti tali associazioni degenerano facilmente in altra natura, né si mantengono superiori a quelle in cui della religione non si tiene conto alcuno”.

La Rerum Novarum è l’atto costitutivo della nuova Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica. Superata, ma non esclusa, la dimensione caritatevole, il mondo cattolico accetta la sfida della modernità, individuandone i limiti, le storture, le debolezze strutturali, secondo una logica ricostruttiva. Centrale è l’idea corporativa, ritrovata a partire dall’esperienza medioevale, con una funzione politica attribuita al pontificato e l’articolazione gerarchica dei poteri su base federalistica, ivi compresa la rappresentanza organica dei ceti produttivi.

Non a caso l’enciclica fu oggetto delle attenzioni e delle critiche della stampa liberale e socialista. La prima denunciò le ambiguità della Rerum Novarum, accusata di essere accondiscendente verso i socialisti in tema di giusta “mercede” dell’operaio ed ambigua rispetto all’idea che la proprietà è “figlia del lavoro” (“L’Enciclica sulla questione operaia”, in “La Tribuna”, 25 maggio 1891). Il mondo socialista, per voce del suo leader, Filippo Turati, espresse la sua “delusione” per il “preteso socialismo papale”, accusando la Chiesa di offrire il suo aiuto allo Stato liberale per difendere l’ordine sociale dall’avanzante marea socialista. “È impossibile – scrisse ancora Turati (“Postilla”, in “Critica sociale”, 31 maggio 1891) – immaginare cosa più pretenziosamente vuota, più nulla e più inconcludente di quella non mai finita dissertazione, di quel mare di parole e di frasi, in cui la Sua sedicente Santità non si degna di stemperare e diguazzare i tritumi delle idee più rancide, più sciocche e confuse che si ripetono contro il socialismo”.

Sarà poi Giuseppe Toniolo, docente universitario e militante cattolico, a dare una più compiuta articolazione scientifica alle linee dottrinarie tracciate da Leone XIII, in grado, partendo dall’esperienza medioevale, di immaginare un processo di crescita dell’intera società, attraverso l’azione individuale e dell’associazionismo, realizzando una “ricomposizione giuridica corporativa” della società stessa.

Il tempo trascorso, tra i più tumultuosi e complessi nella storia umana, ci riconsegna incorrotta, nelle sue linee di fondo, l’enciclica dedicata alle “cose nuove”, non a caso ricordata – di anniversario in anniversario – dai diversi pontefici succedutisi al soglio di Pietro. Nella Quadragesimo Anno, promulgata il 15 maggio 1931, Pio XI afferma le implicazioni etiche dell’attività economica, specialmente nell’epoca dell’industrializzazione, motiva le norme di quest’etica sia partendo dal Vangelo sia da principi di etica naturale, descrive i danni che derivano alla società e alla dignità dell’uomo sia dal capitalismo sfrenatamente incontrollato sia dal comunismo totalitario, e insiste sulla necessità della ricostruzione di un ordine sociale basato sui principi della solidarietà e della sussidiarietà. Centrale è il tema della giusta ripartizione perché “non può una classe escludere l’altra dalla ripartizione degli utili”.

Mentre Pio XI spinge per una maggiore solidarietà e collaborazione tra lavoratori e datori di lavoro, viene stigmatizzato il capitalismo lasciato senza regole morali e legali, specialmente quello espresso dalle società di capitali anonime che riescono ad imporsi agli stessi stati. L’ordine sociale esige perciò che il capitalismo sia governato da leggi giuste per evitare che prevalgano gli interessi individuali su quelli della collettività.

In occasione del centenario della Rerum Novarum, Giovanni Paolo II, con la Centesimus Annus (1 maggio 1991) ammonì che: “Si può giustamente parlare di lotta contro una sistema economico inteso come metodo che assicura l’assoluta prevalenza del capitale, del possesso degli strumenti di produzione e delle terra, rispetto alla libera soggettività del lavoro dell’uomo. A questa lotta contro un tale sistema non si pone, come modello alternativo, il sistema socialista, che di fatto risulta essere un capitalismo di Stato, ma una società del lavoro libero, dell’impresa e della partecipazione. Essa non si oppone al mercato, ma chiede che sia opportunamente controllato dalle forze sociali e dallo Stato, in modo da garantire la soddisfazione delle esigenze fondamentali di tutta la società”.

L’impressione è che questa ricca tradizione sociale e culturale non sia più sufficientemente valorizzata e divulgata dalla stessa Chiesa Cattolica. È un peccato che ciò avvenga, particolarmente oggi, allorché, in una fase di profonde trasformazioni economiche e sociali, si sente la mancanza di organiche indicazioni costruttive e ricostruttive, che riescano a ridare nuova consapevolezza ai lavoratori; che sappiano declinare, sul piano degli istituti rappresentativi (a livello di azienda e di sistema Paese), il richiamo a principi extraeconomici; che indichino realistici meccanismi ridistributivi; che ridiano centralità ai corpi sociali, sfibrati da una sistematica opera di disintermediazione; che affermino il significato della proprietà intesa quale “diritto naturale inviolabile”, frutto del lavoro, legato alla famiglia e garanzia di libertà concrete.

L’augurio – sull’onda dell’arrivo di Leone XIV ai vertici della Chiesa – è che di questa “visione” si torni nuovamente a parlare nella Chiesa Cattolica, tornado all’essenza della Rerum Novarum, al suo valore dottrinario e alla sua portata universale.

 

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di Mario Bozzi Sentieri - 13 Maggio 2025