
Il disastro della Consulta
Cancellare il padre dai diritti di un bambino: una deriva che sovverte la realtà
Nel caso delle "due mamme" l’espediente usato da chi pretende di trasformare in diritto un proprio desiderio è sempre lo stesso: mettere i giudici davanti al fatto compiuto, usare i minori come grimaldello
I figli hanno bisogno di un padre, anzi no! Può sembrare surreale ma è questo che si legge in due sentenze della Corte Costituzionale, la 68 e la 69 di quest’anno, depositate a pochi minuti di distanza, questa settimana. Si tratta di due decisioni in tema di filiazione che toccano due distinti aspetti della legge 40/2004 che disciplina della procreazione medicalmente assistita (PMA), sancendo principi evidentemente incompatibili tra loro.
Addio padre?
Partiamo dalla seconda, la 69/2025, riguardante la presunta illegittimità costituzionale della legge 40 nella parte in cui non consente l’accesso a questa pratica anche alla donna singola: i Giudici della Consulta, pur apparendo possibilisti sul punto (tanto da sostenere che non ci sarebbero problemi di costituzionalità, qualora il legislatore si determinasse ad un’apertura in tal senso), dichiarano non fondata la questione rilevando come lo scopo della legge sia quella di porre rimedio a casi di infertilità patologica (cioè di coppie che potenzialmente potrebbero avere figli ma hanno difficoltà di natura “clinica”) e non di consentire a chi (come le coppie omosessuali o i single) sia fisiologicamente infertile di procreare. Sostiene la Corte che, riservando la PMA a coppie stabili, eterosessuali e in età potenzialmente fertile, “il legislatore ha cercato di non creare una distanza eccessiva rispetto al modello della generazione naturale della vita” e conclude che “la scelta del legislatore di non avallare un progetto genitoriale che conduce al concepimento di un figlio in un contesto che, almeno a priori, implica l’esclusione della figura del padre è tuttora riconducibile al principio di precauzione nell’interesse dei futuri nati”.
Dunque, da un lato la Consulta riconosce che vi è un solo modello naturale di generazione della vita (scontato, ma non in questi tempi bui) e valorizza la figura del padre come necessaria, per tutelare l’interesse dei futuri nati. Neppure il tempo di esultare per questa timida affermazione di un indiscutibile principio di realtà, che la Corte si premura di dichiarare incostituzionale la norma che impedisce di riconoscere i bambini nati da PMA praticata all’estero da coppie di lesbiche come “figli di due madri”. E il padre che fine fa? Come è possibile che da un lato si ritenga quella paterna una figura imprescindibile e dall’altro lo si consideri non necessario, anzi surrogabile dalla cosiddetta “madre d’intenzione”?
Usare i minori come grimaldello
Anche in questo caso, come in tutti gli altri che hanno riguardato “decisioni epocali” e “scelte di civiltà” (cit. Zan e compagnia cantante) in materie etiche, l’espediente usato da chi pretende di trasformare in diritto un proprio desiderio è sempre lo stesso: mettere i giudici davanti al fatto compiuto, usare i minori come grimaldello. Vai all’estero, procurati un bambino in violazione delle leggi italiane, poi torna e pretendi che la legge si adegui alla tua situazione di fatto – ponendo rimedio a problemi che tu consapevolmente e intenzionalmente hai causato – perché quello che prevale è “il miglior interesse del minore”: ed è andata proprio così nel caso di queste due donne, di cui una ha partorito il figlio mentre l’altra pretende di essere chiamata mamma perché ha espresso il consenso (sic!).
Ovviamente, per giungere al risultato di obbligare gli ufficiali dello stato civile a dichiarare il falso – e cioè che esistano figli di due madri – è necessario dare sfogo alla fantasia: non riconoscere i figli di due mamme secondo i ricorrenti significherebbe discriminarli, come un tempo erano discriminati i figli nati dall’adulterio (che, guarda guarda, avevano tutti una mamma e un papà) ma, cosa ancor più inquietante, “sarebbe offeso il diritto alla bigenitorialità del bambino inteso come diritto ad avere due persone che, sin dalla nascita, si assumano la responsabilità di provvedere al suo mantenimento, alla sua educazione e istruzione, nei confronti delle quali poter vantare diritti successori”. Insomma, quello alla bigenitorialità non è più il sacrosanto diritto di avere una mamma e un papà, ma il diritto ad avere due persone, due a caso, non importa se una è solo la fidanzata della mamma, da considerare genitori. Un problema di numero, insomma. Two is meglio che one!
La volontà non c’entra con la natura
Nel migliore interesse del minore, quindi, una persona totalmente estranea deve essere considerata madre perché è lei a volerlo. D’altronde, la parola “volontà” serpeggia per tutta la sentenza, ricordandoci che di questo si tratta: dare a due adulti quello che vogliono. E pazienza se per averlo devono usare un bambino e invocare fittiziamente la tutela dei suoi diritti, tralasciando di averlo privato dell’unico vero diritto incomprimibile, quello ad avere un padre. La volontà della madre d’intenzione basta e avanza. Se tu vuoi, lo Stato deve adeguarsi.
Quanto al padre, se ne può fare a meno, è necessario ma non così tanto, se c’è una donna che vuole essere mamma, la sua volontà basta a cancellare il padre. A meno che tu non sia la madre che ha partorito un figlio per due uomini, perché a quel punto vieni declassata a concetto antropologico. Un mondo, insomma, senza oggettività, senza valori non negoziabili, privo di certezze e limiti: la volontà determina la realtà.
Chi sostiene che quella adottata dalla Corte fosse l’unica soluzione praticabile per tutelare i minori, a cui è stato fatto il danno enorme di nascere senza poter conoscere l’uomo che ha concorso a dar loro la vita, mente sapendo di mentire. L’adozione in casi speciali, che pure dovrebbe essere tollerata e non incoraggiata, avrebbe potuto dare risposta (la risposta sbagliata, probabilmente, ma tant’è!) alla necessità di tutelare questi bambini, senza che l’eccezione fondata sulla falsa affermazione che esistano figli di due mamme trovasse modo di assurgere a regola. Troppo lunga? Troppo dispendiosa? Beh, può succedere quando te ne freghi della legge e fai quello che ti pare.
Giudici “legislatori”
Che quella della Corte sia una decisione fortemente politica, in cui i giudici si sono sostituiti al legislatore come, purtroppo, succede spesso ultimamente, è sotto gli occhi di tutti, come è sotto gli occhi di tutti quanto questo pendio possa essere scivoloso: qual è il destino di una società in cui non sono i cittadini a doversi adeguare alle regole ma le regole a doversi piegare ai desiderata dei singoli?
E quanto può essere pericoloso questo meccanismo, quando i singoli pretendono di cancellare la realtà sostituendola con le loro fantasie? Non serve scomodare i posteri, la sentenza – stavolta in senso letterale – è già sotto i nostri occhi: a noi sguainare le spade. Le foglie sono verdi d’estate.