
Cgil nei guai
Anche Boeri, l’economista osannato dalla sinistra, demolisce i referendum di Landini: scritti male e dannosi
Dopo la Cisl e mezzo Pd anche l'ex presidente dell'Inps va all'attacco dei quesiti targati Cgil: "Paradossalmente comportano cambiamenti opposti a quelli che hanno in mente i proponenti"
Non c’è pace per Maurizio Landini, accerchiato da ogni parte. Dopo la leader della Cisl e mezza opposizione arriva il ‘no grazie’ perfino del compagno Tito Boeri. L’economista più amato dall a sinistra, demolisce i referendum sul lavoro della Cgil. Anche lui come metà Pd va all’attacco dei tre quesiti proposti dal primo sindacato italiano. L’unico che si salva per l’ex presidente dell’Inps è quello sulla cittadinanza. Gli altri tre sono “mal posti”, “scritti male” e “paradossalmente comportano cambiamenti opposti a quelli che hanno in mente i proponenti”.
Referendum, Boeri all’attacco: scritti male e inutili
Con il referendum dell’8 e 9 giugno si chiede l’abrogazione di alcune norme che riguardano i licenziamenti e la reintroduzione di limiti burocratici nell’utilizzo dei contratti a tempo determinato. L’intento sarebbe anche lodevole, spiega Boeri dalla colonne di Repubblica, ma sono posti male e incomprensibili ai più. “Aumentano l’incertezza sui costi effettivi dei licenziamenti, il che è un male per tutti, lavoratori e imprese. Ripristinano norme con massimali più bassi nell’indennizzo concesso ai dipendenti licenziati senza giusta causa. E lo rendono più costoso per le piccole che per le grandi imprese». Insomma, un disastro.
I quesiti ignorano i cambiamenti demografici
“I quesiti sembrano ignorare completamente i cambiamenti che il calo demografico comporta per il nostro mercato del lavoro. Non siamo più un paese in cui mancano lavori. Ma un paese in cui mancano lavoratori a tutti i livelli. Le imprese infatti faticano sempre di più a trovare lavoratori e quelli che assumono tendono a tenerli. Non a caso, negli ultimi anni – spiega il compagno Boeri – le conversioni di contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato sono aumentate. Mentre “la quota di contratti a tempo determinato è scesa dal 17% al 13% negli ultimi tre anni”.
Colpa dei sindacati che fanno politica e mancano nelle aziende
Ma non basta. Anche i licenziamenti sono diminuiti. Certo, rimane il problema di salari, che negli ultimi quattro anni hanno perso quasi il 10% del potere d’acquisto ma questo – aggiunge – non ha nulla a che fare con il precariato, ma – udite udite – con il sindacato. “I lavoratori potrebbero farsi pagare di più se avessero un sindacato capace di imporre ai datori retribuzioni più in linea con il valore di ciò che producono. Questo significa che per garantire salari più alti bisogna rafforzare la presenza del sindacato nelle aziende (più che nelle sedi della politica) e favorire la mobilità dei lavoratori, esattamente l’opposto di ciò che i proponenti dei referendum vorrebbero fare”. Il povero Landini, che ancora sogna il raggiungimento del quorum, è servito. Al Nazareno, intanto, continua la guerra di tutti contro tutti. Con la segretaria Elly Schlein sedotta sulla via della Cgil e mezzo partito pronto all’astensione. Per riformisti dem, molti ex renziani, il Jobs Act non si tocca.