
Il pubblico parla chiaro
Altro che paternali e reddito di cinemanza, il film con Marinelli e regia della moglie è un flop al botteghino. Ecco le cifre degli incassi
Un film coccolato e promosso con la solita retorica progressista ma che la sala snobba. Eppure, la sinistra di celluloide vanta pretese, ma al box office sembra disattendere le aspettative. Ecco i numeri: tanto rumore per nulla. L'analisi degli incassi
Era attesissimo, si diceva e si sospirava. Il ritorno di Luca Marinelli, uno degli attori più incensati e coccolati dal sistema cinematografico di “sinistra”, con il film Paternal Leave, “Il congedo parentale”. Un titolo già di per sé un programma, che segna l’esordio alla regia della moglie Alissa Jung. Una ennesima incursione nel sociale (sul modello “due camere, bagno e cucina” tipico del cinema autoriale di casa nostra). Nel politically correct e nel dramma intimista che tanto piace a chi il cinema lo fa, ma sempre meno a chi il cinema dovrebbe vederlo. Il risultato? Un autentico disastro. Una “Caporetto” ai botteghini che dovrebbe far riflettere, ma che, prevediamo, finirà nel solito piagnisteo sui “mancati sostegni” e sul “pubblico non educato”.
Il film con Marinelli e regia della moglie è un flop al botteghino
Dunque, Paternal Leave è un film del 2025 di genere drammatico, diretto da Alissa Jung (moglie dell’attore protagonista), con Juli Grabenhenrich, Luca Marinelli, appunto, e Arturo Gabbriellini. Un lungometraggio della durata di 113 minuti, attualmente nei cinema italiani in 150 sale, distribuito da Vision Distribution. Una pellicola che, stando agi ultimi dati, e in attesa del weekend al via oggi, ha incassato al momento (in una settimana di distribuzione nelle sale) 117.050 euro.
Leggete bene: 117.050 euro. Una cifra che, per un film con un nome come Marinelli e con la solita grancassa mediatica a traino, è poco più di un incasso da cinema parrocchiale. Una cifra che stride con i fiumi di denaro pubblico che da anni vengono riversati su produzioni che, con l’arte e la capacità di attrarre spettatori, sembrano avere sempre meno a che fare (nonostante le recriminazioni e le polemiche degli alfieri della sinistra cinefila militante) .
Un film coccolato e promosso con la solita retorica progressista che in sala…
E qui casca l’asino, o meglio, qui tornano a galla le solite ipocrisie. Ogni qualvolta un film “di peso” (leggasi, ben finanziato con denari statali e promosso con la solita retorica progressista) si schianta al botteghino, puntuale come un orologio svizzero arriva il coro di lamentazioni. Registi e attori, gli stessi che da decenni vivono di rendita sul sistema dei sussidi e dei bandi ministeriali, levano il solito lamento: «Il cinema è in crisi!». «Servono più fondi!». «Il pubblico non ci capisce!».
Polemiche e rivendicazioni “autoriali”: ma la risposta del pubblico la dice lunga…
Ma non sarà forse che il pubblico, quello vero, quello che paga il biglietto, è stanco delle solite tiritere? Dell’ennesima puntata della serie “due camere, bagno e cucina” per l’appunto? Insomma, stanco di film che sembrano pensati per vincere premi a festival lontani dalla realtà – ma molto vicini alle platee radical chic – piuttosto che per emozionare o intrattenere chi esce di casa per un paio d’ore di svago o di intrattenimento intelligente, ma comunque un minimo spettacolare?
La sinistra di celluloide vanta pretese, eppure al box office…
E ancora. Non sarà forse che il monopolio culturale di una certa sinistra, che si arroga il diritto di decidere cosa sia “arte” e cosa no. Cosa vada sostenuto, finanziato e rilanciato, ha finito per soffocare la creatività e la capacità di dialogare con la gente comune? Il caso Marinelli è emblematico. Un attore bravo, per carità, ma che sembra ormai inscatolato in un tipo di personaggio e di narrazione che, evidentemente, ha esaurito il suo appeal. Il “congedo parentale”, allora, si rivela un congedo dal successo. Una sorta di certificazione non scritta, ma accreditata dal verdetto del box office, che il pubblico ha voglia di altro.
E intanto, mentre loro, i nostri piagnucolosi artisti dem, continueranno a battere cassa. A chiedere più fondi e meno “ingerenze”. Sempre più sussidi e assistenzialismo istituzionale, il botteghino continuerà a parlare chiaro. Almeno così sembra. Almeno al momento: asseverato dai 117mila euro di incassi del film con l’ex “M” diretto dalla compagna per un plot che vanta sinergie produttive tra Roma e Berlino. Un campanello d’allarme che, se avessero un briciolo di umiltà, li dovrebbe spingere a rimettersi in discussione. Ma è forse chiedere troppo a chi, da troppo tempo, è abituato a vivere non dei consensi del pubblico, ma delle elargizioni dello Stato. Il re è nudo, e il suo cinema, purtroppo per loro, pure. Alla fine della fiera, allora, per chiarire meglio, facciamo due conti.
Il film con Marinelli: tanto rumore per nulla. L’analisi degli incassi
Weekend: 113.000 euro. Prima settimana (totale): 117.000 euro. Numero di sale: 150. Calcoliamo allora l’incasso medio per sala: 113.000 € ÷ 150 sale = circa 753 euro per sala. E per la settimana intera: 117.000 € ÷ 150 sale = circa 780 euro per sala. Cosa significa? È presto detto: un incasso medio di meno di 1.000 euro per sala (soprattutto nel weekend) è considerato molto basso per i range delle analisi e delle classifiche, soprattutto per un film distribuito in un numero così ampio di sale. Di solito, ci si aspetta almeno: 2.000-3.000 euro per sala per una partenza dignitosa. 5.000+ euro per sala per un buon successo. E 10.000+ euro per sala per un grande riscontro.
Cosa potrebbe indicare allora un risultato del genere? Scarso interesse del pubblico. Una campagna promozionale poco efficace. Recensioni negative e una competizione forte da altri film in uscita. In sintesi: un film che incassa 117.000 euro in 150 sale nella prima settimana ha avuto una partenza deludente…