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Istanbul Putin e Zelensky

Diplomazia cifrata

Al via il vertice di Istanbul ma senza Putin e Trump. Zelensky vedrà Erdogan, Leone XIV offre la sua mediazione

Mosca invierà una delegazione tecnico-militare ma non ha intenzione di riconoscere formalmente Kiev: per lo zar, il leader ucraino è un presidente senza mandato

Esteri - di Alice Carrazza - 15 Maggio 2025 alle 09:33

La cornice è sontuosa, lo scenario promettente, ma a Istanbul manca l’unico volto che avrebbe potuto imprimere al vertice il peso di una svolta: Vladimir Putin. Volodymyr Zelensky lo aveva cercato, evocato, quasi sfidato. «Sono pronto a qualsiasi forma di negoziato per fermare la guerra», aveva dichiarato il presidente ucraino. Ma dal Cremlino è arrivata il consueto gelo: al tavolo non ci saranno né il presidente russo né il suo ministro degli Esteri, Sergey Lavrov. Al loro posto, una figura che parla più dell’assenza stessa: Vladimir Medinsky, consigliere presidenziale, ex ministro della Cultura, falco ortodosso e pedina perfetta nella scacchiera diplomatica di Mosca, dove la forma è sostanza.

Istanbul, il tavolo è vuoto se non siedono i pari

In politica estera, la legittimità si gioca anche nella coreografia del potere: conta chi siede, dove siede e accanto a chi. Sedersi accanto a un capo di Stato significa riconoscerlo come interlocutore valido, pari, legittimo. E proprio qui si consuma la scelta di Putin. Considerando come «scaduto» il mandato di Zelensky, il Cremlino non diserta soltanto un vertice: rifiuta di riconoscere il leader di Kiev come soggetto negoziale. Non è una mossa tattica,  è una dichiarazione di principio. Se per Mosca Zelensky è ormai un cittadino qualunque, stringergli la mano equivale a dare udienza a una comparsa. Un tempo, nei salotti europei, un simile gesto si sarebbe chiamato “riconoscimento reciproco“. Oggi, nell’era dei droni e della propaganda, è divenuto un’arma tra le altre. I missili colpiscono, certo. Ma anche le strette di mano possono deflagrare.

Intanto, stamane, è arrivata a Istanbul la delegazione russa che parteciperà ai colloqui: l’aereo, ha annunciato l’Interfax, è atterrato all’aeroporto Atatürk. Secondo la stessa fonte, vicina al team negoziale di Mosca, non è stata ancora fissata con certezza l’ora di inizio dell’incontro con la delegazione ucraina. Resta confermato per oggi però il faccia a faccia tra Zelensky e il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan: sarà solo dopo colloquio tra i due che Kiev deciderà i prossimi passi nei negoziati di pace con la Russia, come riferito da un alto funzionario ucraino all’Afp.

Il rischio del precedente tra Putin e Zelensky

Dunque, non c’è Putin. Perché? Per un presidente, sedersi con una controparte delegittimata significa aprire un varco pericoloso. La diplomazia russa lo sa: la creazione di un precedente può essere fatale. Putin, che regge il potere su un equilibrio millimetrico tra forza simbolica e controllo della narrazione, non può permettersi nemmeno un’ombra di contraddizione. Sul fronte interno, rischierebbe di apparire debole; su quello internazionale, finirebbe riconoscere ciò che combatte con le armi: la pretesa ucraina di esistere come Stato sovrano e con un presidente riconosciuto. Ecco perché l’assenza è un messaggio.

Trump, il mediatore mancato

C’è chi aveva sperato nel nome capace di scardinare l’impasse: Donald Trump. Zelensky lo aveva invocato esplicitamente, consapevole della forza scenica, e non solo, di un presidente americano. «So che gli piacerebbe che fossi lì», aveva commentato The Donald, lasciando uno spiraglio tra un volo per Doha e una tappa a Riad.

Ma il mediatore ideale, per funzionare, deve essere equidistante. Trump, percepito così da Kiev come vicino, da Mosca come ambiguo, rischiava di bruciare il ruolo ancor prima di assumerlo. Una presenza squilibrata avrebbe fatto saltare il tavolo. Meglio esser cauti, promettendo «ottime notizie, forse per venerdì».

Il magnate russo Medinsky al posto del capo

A rappresentare Mosca sarà piuttosto Vladimir Medinsky. Non un volto nuovo, né un ingenuo. È l’uomo che “sa stare al tavolo”, ma solo per impedirgli di diventare una trattativa autentica. Con lui, una squadra tecnica e militare: Mikhail Galuzin, Aleksandr Fomin, Igor Kostyukov. Nessuna figura politica di peso. Sono le regole della politica internazionale, e non c’è da meravigliarsi.

Zelensky, invece, volerà a Istanbul con tutto il suo entourage decisionale: il ministro della Difesa, degli Esteri, il capo dell’ufficio presidenziale. Due delegazioni, due posture opposte: una che vuole mostrarsi interlocutore a pieno titolo, dall’altra chi non lo accetta.

Nemmeno il Papa come mediatore è bastato

Quando la forma diventa insostenibile, il linguaggio diplomatico diventa “cifrato”. Il nome di Roman Abramovich, tornato in circolo come mediatore ufficioso, parla da solo: uomo ponte, accettato ma mai ostentato, emblema di una diplomazia parallela, dove le strette di mano non implicano riconoscimenti.

Anche il socialista Lula, presidente del Brasile, ha provato un approccio diretto. Ma è tornato a mani vuote: con Putin solo una telefonata, «di esortazione». Nemmeno Papa Leone XIV, con la sua disponibilità a «far incontrare i nemici e farli guardare negli occhi», ha avuto miglior fortuna.

Il Cremlino decide da solo

«Non solo Putin non verrà, ma non ci sarà nemmeno il suo sosia», ha ironizzato Kyrylo Budanov, capo dell’intelligence militare ucraina. Battuta amara, che non copre il rumore delle bombe: ieri, un attacco russo a Sumy ha ucciso tre civili.

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di Alice Carrazza - 15 Maggio 2025