
I grandi italiani
«Perché l’opera di Giovanni Gentile è sopravvissuta ai suoi sicari». Parla Alessandro Campi
Intervista allo storico Alessandro Campi autore di "Una esecuzione memorabile. Giovanni Gentile. Il Fascismo e la Memoria della Guerra civile". L'assassinio del filosofo dell'attualismo? Ha pagato l’impegno sul campo per la pacificazione nazionale
Non si tratta affatto di una «morte eccellente» per rimestare l’ennesimo – e, perché no, rassicurante – noir italiano a sfondo complottista. Né tantomeno di un «mistero» irrisolto, anzi. L’assassinio del filosofo Giovanni Gentile andrebbe archiviato secondo un’altra dicitura: una «morte esemplare» da inquadrare nelle dinamiche di una guerra civile che, nel suo martirio, ha trovato la plastica e sanguinosa manifestazione. E come tale andrebbe consegnata definitivamente alla storia. Alessandro Campi, ordinario di Storia delle dottrine politiche nell’Università di Perugia e Direttore dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano, è tornato sull’evento che più di altri rappresenta lo snodo tra il tragico epilogo del Regime e la nascita della repubblica antifascista. E lo ha fatto con Una esecuzione memorabile. Giovanni Gentile. Il Fascismo e la Memoria della Guerra civile (Le Lettere, 2025).
Il verità: assassinio politico
Il confronto con Gentile, per Campi, parte da molto lontano. Nel 2001, aveva dedicato un breve saggio a quella che allora era stata definita la «morte necessaria di un filosofo». Una pubblicazione profondamente diversa rispetto all’odierna, notevolmente aumentata, seppur agganciata alla medesima tesi. Di acqua, nel frattempo, ne è passata e sul caso Gentile è stato scritto parecchio. Paolo Paoletti (2005), sempre per Le Lettere, ha chiarito tutti passaggi dell’agguato, dagli esecutori materiali (esponenti dei gap fiorentini) ai responsabili politici (il Partito comunista clandestino di Firenze, con il probabile assenso dei vertici nazionali). La verità è quella, c’è poco da aggiungere. Sempre nel 2005, è arrivata la nuova edizione de La sentenza di Luciano Canfora, rimestando l’ipotesi «dell’omicidio eccellente», a cui si ricollega, con spirito certamente analitico, Luciano Meccacci, autore per Adelphi de La Ghirlanda fiorentina (2014).
Colpevole di chiedere “concordia”
«Noi abbiamo voluto sottrarre Gentile dal novero dei misteri d’Italia» – spiega Campi al Secolo d’Italia sbarrando la strada a interpretazioni che hanno il sapore della scorciatoia. «Non c’è niente di occulto: si tratta di una morte – aggiunge – che segue la tragica linearità di una guerra fratricida, dove i primi a essere sacrificati sono sempre coloro i quali chiedono concordia, ostacolando di fatto le mire oltranziste dei più radicali, che intendono invece portare la lotta alle estreme conseguenze». Ha pagato l’impegno sul campo per la pacificazione nazionale. «Gentile era il bersaglio perfetto perché, con più convinzione e autorità di altri, aveva un obiettivo preciso: non salvare il fascismo, ma salvare l’Italia tutta» – continua Alessandro Campi. Quella stessa Italia che faticosamente aveva ritrovato la sua unità istituzionale e culturale soltanto di recente, grazie a un Risorgimento da portare ancora a compimento. Processo che, forse sbagliando, riteneva sarebbe stato raggiunto dal fascismo. Un progetto nazionale compromesso però dalla tragedia bellica. «Il filosofo di Castelvetrano era convinto che, se la guerra civile fosse andata avanti, l’Italia avrebbe pagato un prezzo altissimo anche nel futuro, con contrasti che si sarebbero perpetuati anche nei decenni successivi. Cosa che poi – aggiunge – è effettivamente avvenuta. Ancora oggi, in fondo, è come se fossimo rimasti bloccati nel conflitto delle memorie del 1944/45».
L’opera “per l’Italia” sopravvive ai sicari
Gentile, però, è sopravvissuto al calcolo miope dei suoi sicari. Difficile negarlo. Assieme a Benedetto Croce, resta il più grande filosofo italiano del Novecento. Ma è sotto il profilo delle politiche culturali, delle strutture realizzate, che la sua eredità progettuale si fa persistente e concreta. «L’apparato che aveva messo in piedi – dice Campi – rappresentava il sistema nervoso culturale di un Paese: un progetto per l’Italia, realizzato nel fascismo, ma sopravvissuto al fascismo proprio perché era per l’Italia. Questo passaggio è fondamentale».
Il gramscismo prima di…Gramsci
Interprete del pensiero politico di Gentile fu paradossalmente quel Palmiro Togliatti che riteneva necessaria l’eliminazione non soltanto fisica dell’avversario, per poi appropriarsi della medesima metodologia egemonica. «Con la Svolta di Salerno – dice Campi – il leader del Pci capisce che deve nazionalizzare il comunismo e che Gramsci deve diventare il nuovo Gentile. L’operazione riesce, appropriandosi del modello dell’intellettuale organico sviluppato nel Manifesto degli intellettuali fascisti del 1925. Un modello che Gramsci aveva già recepito nei Quaderni». Insomma, conclude Campi, Giovanni Gentile sopravvive anche «come retroterra non dichiarato del gramscismo». Un’eredità, questa, con la quale fare i conti. A sinistra, ma – forse con maggior consapevolezza – anche a destra.