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Il pessimo esempio di Monfalcone: l’estremismo islamico vive di sfide all’Occidente, a noi il compito di aprire alla vera integrazione

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Il pessimo esempio di Monfalcone: l’estremismo islamico vive di sfide all’Occidente, a noi il compito di aprire alla vera integrazione

Cultura - di Andrea Verde - 16 Aprile 2025 alle 14:34

L’opera di Florence Bergeaud-BlacklerLe Frérisme et ses réseaux” (la fratellanza musulmana e la sua rete di influenza), insignita del premio francese Scienza e laicità nel 2023, fornisce materiale inedito che permette di capire come un’atmosfera di rottura culturale in Europa è stata pazientemente preparata da un movimento che lei definisce “la fratellanza”, termine che include oltre all’associazione dei Fratelli Musulmani, nata in Egitto nel 1928, e presente con forza in Europa, l’insieme delle organizzazioni, delle reti, delle associazioni, dei predicatori, dei think-tank che sono oramai impregnati della sua ideologia.
Nel Corano, l’Umma è presentata come “la migliore delle comunità” sotto il governo di Dio stesso. In virtù di una legge religiosa missionaria e suprematista, i Fratelli musulmani si considerano eletti e la loro missione è quella di realizzare la profezia califfale. Vogliono decolonizzare il mondo musulmano e impedire ogni ibridazione, ogni convergenza con le tendenze laiche (in particolare il laicismo francese), viste come un pericolo mortale. Non si tratta di un movimento teologico, ma di un sistema d’azione.
L’islamismo è un sistema d’azione basato su una visione, un’identità e sul rispetto di un piano. Questo è il significato delle parole di Hassan el-Banna, fondatore egiziano dei Fratelli Musulmani; “Allah è il nostro obiettivo, il profeta Maometto è la nostra guida, il Corano è la nostra costituzione, la jihad è la nostra via e la morte per amore di Allah è il nostro obiettivo finale”.
L’anno chiave fu il 1989. Nella rappresentazione dei leader dell’islam politico, l’Europa doveva diventare “terra d’Islam”. In altri termini la comunità degli emigrati doveva entrare nella fase di forza che gli avrebbe permesso di rivendicare l’applicazione della sharia (legge islamica).
Il rovesciamento demografico del Vecchio Continente causato dalla crescita rapida della popolazione musulmana, grazie alla fecondità elevata delle donne, oltre all’accentuazione dei flussi migratori legali ed illegali, avrebbe dovuto accelerare questo processo. Nel 1989 accaddero due fatti salienti: la fatwa del 14 febbraio, con la conseguente condanna a morte, di Salman Rushdie autore dei “versetti satanici” considerati blasfemi e la rivolta in Francia, nel collegio di Creil contro il divieto di indossare il velo islamico. Il 1989 è l’anno in cui si celebrò il bicentenario della Rivoluzione francese ma soprattutto l’anno della caduta del Muro di Berlino che trascinerà con sé la caduta dell’utopia comunista lasciando spazio a nuovi messianismi, tra cui l’islam politico sarà il più dinamico.
La fatwa contro Rushdie diede all’ayatollah Khomeini una dimensione panislamica inizialmente verso i sauditi accusati di non aver sufficientemente sostenuto la campagna anti-Rushdie, poi universale, urbi et orbi, alla maniera delle bolle papali del passato. Khomeini piaceva molto ad una parte della sinistra che vedeva in lui similitudini con la vulgata marxista che contrapponeva oppressori ed oppressi. I Fratelli musulmani, installati in Europa, non esitarono ad infilarsi nella breccia aperta dall’ayatollah Khomeini, dandogli un’impostazione sunnita.
La Francia reagì all’invasione dei Fratelli musulmani nella sfera pubblica francese promulgando nel 2004 la legge che proibiva l’ostentazione dei simboli religiosi nelle scuole, in nome della laicità dello Stato. Chirac, approvando il rapporto della commissione Stasi, intese mettere un termine ad una situazione insostenibile per le ragazze musulmane obbligate dalla loro comunità ad indossare il velo. Chi trasgrediva era sottoposta a linciaggio e molte furono vittime delle famigerate “tournantes” (violenze di gruppo). Per i Fratelli musulmani fu l’occasione per gridare all’islamofobia di Stato. I Fratelli musulmani hanno trovato sponde politiche nella sinistra e nell’estrema sinistra, ciò che porterà Alain Finkielkraut a coniare il termine islamo-gauchisme.
Alleanze formali tra militanti islamisti, partiti di sinistra e movimenti di estrema sinistra hanno contraddistinto la storia dell’islamismo in Europa. L’autrice cita come esempi il sostegno delle Nuove Brigate Rosse in Italia agli attacchi di Al-Qaida contro gli Stati Uniti. In Gran Bretagna, un ex deputato laburista George Galloway, insieme al Socialist Wokers Party (SWP), al Revolutionary Communist Party of Britain (RCPB) e a membri della Muslim Association of Britain e al Muslim Council of Britain (MCB), creò il Partito del rispetto. In Francia, il Nuovo partito anticapitalista (che confluirà nella France Insoumise), candidò una donna che indossava l’hijab nei manifesti elettorali per denunciare la legge contro la dissimulazione del viso nello spazio pubblico. Il movimento woke, con la sua teoria dell’intersezionalità e la ricerca dell’alleanza tra gli oppressi, favorirà ulteriormente l’avvicinamento tra la sinistra radicale e l’islamismo.
L’odio verso Israele è una costante di questi gruppi. In Francia, Tariq Ramadan si accanì contro Israele e contro il CRIF (consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche in Francia), superando ogni limite nel dibattito pubblico francese. Furono attaccati pesantemente intellettuali ebrei di spicco come Adler, Finkielkraut, Glucksmann, Kouchner e Bernard-Henri Lévy, accusati di “comunitarismo ebraico”. L’antisemitismo d’altronde è un segno che contraddistingue la confraternita.
I fratelli musulmani promulgarono nel 1989 una dichiarazione non per stabilire “i diritti dei musulmani nel mondo, ma i diritti dell’uomo nell’islam cioè dei diritti dell’umanità nella civilizzazione islamica”. A questa dichiarazione seguì, l’anno dopo, la dichiarazione Islamica universale dei diritti dell’uomo al Cairo in cui si affermò “la superiorità dell’uomo sulla donna”.
La rete dei Fratelli musulmani può contare su diversi appoggi nelle istituzioni europee grazie ad ENAR (European Network Against Racisme), network belga che si presenta come antirazzista. Anche se non fa parte ufficialmente del circuito dei Fratelli musulmani, secondo l’autrice, questa organizzazione è pilotata dalla fratellanza islamica come dimostra la sua battaglia contro il divieto dell’hijab, velo islamico, a causa del quale molte donne nel mondo rischiano (in caso di rifiuto di indossarlo) di essere violentate ed uccise.
Il Consiglio d’Europa (COE), il cui quartier generale è situato a Strasburgo, è un’organizzazione intergovernativa, con un budget di 600 milioni di euro, il cui scopo è promuovere i diritti umani. Ma, nonostante i buoni propositi, ha giocato un ruolo importante nell’esportazione e nella propaganda del concetto di islamofobia promulgando due raccomandazioni; la necessità di non offendere le religioni e i loro fedeli, da un lato, e quella di lottare contro i discorsi di odio sui social dall’altro. Il COE, ad esempio, si oppone a tutte le norme che vietano l’uso del velo integrale nei lughi pubblici. Il COE è molto implicato nelle lotta contro l’odio antimusulmano e fu tra i promotori della campagna No Hate Speech Movement (NHSM); l’obiettivo era quello di ridurre la diffusione d’odio su internet arrivando a tacciare di islamofobia chiunque osasse prendere posizione su temi delicati come il velo islamico (ad esempio chiedendo alle donne musulmane di fornire fotografie con il volto scoperto per i documenti di identità o di entrare nei seggi elettorali sempre a volto scoperto); in realtà ha costituito un formidabile strumento di censura. Chiunque osasse criticare il comunitarismo islamico veniva tacciato di islamofobia, di razzismo, di collusione con l’estrema destra ed era vittima di vere e proprie campagne di odio e di azioni legali, generando la reazione di Elon Musk e Donald Trump con le conseguenze che conosciamo.
Vale la pena di citare il ruolo molto attivo che ebbe Tommaso Chiamparino (figlio dell’ex governatore del Piemonte), che ricoprì, nella scorsa legislatura del Parlamento Europeo, il ruolo di coordinatore contro “l’odio musulmano” e che promosse una campagna pro-velo dal titolo, “Tackling Gendered Islamophobia” (affrontare l’islamofobia di genere) in Europa.
Florence Bergeaud-Blackler ricorda che l’islamismo non è giunto in Europa per caso; era stato ampiamente annunciato dagli anni Novanta. La Fratellanza sogna la teocrazia e combatte il laicismo. Per la Fratellanza musulmana l’islam non è una cultura e neanche una tradizione ma un sistema che risponde a tutti i bisogni individuali e collettivi. I musulmani devono essere degni dell’Islam e non viceversa. Affinché i musulmani si integrino, non deve essere l’Islam ad integrarsi all’Europa, ma deve essere l’Europa ad assimilare l’Islam: cercano di rendere il mondo sharia-compatibile.
L’ideologia della Fratellanza impedisce la coesistenza delle correnti religiose, soffoca il pensiero liberale, combatte la laicità. Diffonde norme e valori che rafforzano l’antisemitismo, la misoginia, la criminalizzazione dell’omosessualità. Per questo occorre che le istituzioni europee siano più vigili rifiutando di finanziare progetti che possono entrare in conflitto con i valori dell’Unione europea.
Alain Finkielkraut notò come la «società contasse un numero crescente di nemici tra le popolazioni che si installano in Europa generando un’ostilità diffusa». Quello che viene preso di mira non è l’immigrato ma l’integralista islamico. La prova è che gli immigrati provenienti dall’Estremo Oriente, Vietnam, Cina non suscitano alcuna ostilità.
Gli integralisti islamici pretendono di imporre le proprie leggi non solamente ai musulmani, ma a tutti. Per non parlare del dilagare dell’antisemitismo.
Per Finkielkraut più l’Europa si mostra accogliente, più deve essere intransigente sulla questione della laicità accentuando una netta separazione tra la sfera religiosa e la sfera politica. In una Repubblica laica non si può confondere la legge civile e la legge religiosa.
Il grado di civiltà di una società si misura inoltre dal posto che vi occupano le donne. In materia di diritti delle donne la comunità musulmana deve fare ancora molti progressi riaffermando la parità tra i sessi, la dignità della donna, il rifiuto delle mutilazioni genitali femminili, dei matrimoni forzati e il rifiuto di rinchiudere le donne in prigioni di tessuto come la burqa. Il recente esempio di Monfalcone dimostra che le istanze identitarie o comunitarie si affermano esasperando i rapporti all’interno della comunità musulmana, dove l’estremismo dilaga.
Il governo italiano ha capito che il comunitarismo (che altro non sarebbe che la legge delle tribù) e l’integralismo si annidano e si sviluppano nelle periferie degradate. Le pari opportunità sono un grande obiettivo repubblicano. I quartieri sono in prima linea: come si può domandare ai loro abitanti di riconoscersi nella Nazione e nei suoi valori quando vivono in ghetti dall’urbanistica disumana, dove l’illegalità e la legge del più forte hanno spesso la meglio? Con il rafforzamento della sicurezza, con i programmi di rinnovamento urbano, con il contrasto alla criminalità giovanile e all’abbandono scolastico si sta tentando di rivitalizzare i quartieri periferici ma molto resta da fare. Il decreto Caivano è comunque un punto di partenza.
Giorgia Meloni ha anche rilanciato il tema dell’identità nazionale. Senza identità non c’è integrazione: essere italiani significa condividere una storia, una lingua e un destino comune. Di fronte alle posture ideologiche della sinistra e di fronte al dilagare dell’estremismo islamico, Meloni, ribadisce che l’Italia non indietreggia sui valori fondamentali non negoziabili. Fino a quando non si giungerà ad un chiarimento sulla presenza musulmana in Italia, ribadendo che non siamo disposti a tollerare alcuna forma di estremismo ma solamente un islam compatibile con i nostri valori e i nostri principi, il referendum sulla cittadinanza breve appare come una forzatura inopportuna.

 

 

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di Andrea Verde - 16 Aprile 2025