Cantone, gli spioni e la libertà di stampa. Incontro ravvicinato con Gratteri, procuratore capo a Napoli

8 Mar 2024 13:22 - di Luca Maurelli

Napoli, ore 17.10, tra mare e cielo, su una collina dove un tempo si sparava ai falconi e oggi si dà la caccia ai camorristi. I “bastardi” di Pizzolfalcone, poliziotti di strada furbi e maledetti, si aggirano come fantasmi lungo la strada che in salita conduce alla caserma di Monte di Dio dove sta per svolgersi una scena da film, come nei racconti di Maurizio De Giovanni.
Due Suv a luci lampeggianti entrano nella caserma “Nino Bixio”, antica roccaforte sul mare e simbolo anche oggi di una trincea militare contro il crimine che soffoca la città: dentro quelle auto blindate c’è Nicola Gratteri, da pochi mesi capo della Procura a Napoli, dalle vetture nel cortile principale esce un gruppo di giovani “soldati” buoni: sono i ragazzi della scorta, lo accompagnano dentro una sala e si sistemano ai lati della stessa, auricolari infilati nelle orecchie e occhi che inceneriscono qualunque movimento sospetto. E’ lo Stato, sono loro lo Stato, e al centro del tavolo dei lavori, in trincea, c’è Gratteri, calabrese contento di essere a Napoli. Intorno e di fronte a lui, giornalisti, tanti, curiosi, anche di sapere come sarà il nuovo corso della Procura il cui precedente titolare, Giovanni Melillo, aveva adottato la linea del “garantismo informativo”, concedendo poco ai giornalisti. Gratteri, invece, promette “collaborazione massima”, la sala apprezza.

Gratteri e i giornalisti: due categorie, stessa trincea

L’occasione per un incontro ravvicinato con Gratteri, nel giorno delle potentissime denunce di un giudice napoletano molto prestigioso, Raffaele Cantone, che da Perugia ha parlato di “mostruoso verminaio” a proposito dell’inchieste sulle “spiate” fatte dal funzionario infedele dell’Antimafia a beneficio di alcuni giornalisti, è il corso di formazione deontologico organizzato dal Sucg, il battagliero e giovane sindacato unitario dei giornalisti campani nato da un’intuizione di Claudio Silvestri (oggi presidente dell’Unione cronisti e consigliere Fnsi) e oggi presieduto da Geppina Landolfo, figlia d’arte di uno storico vicedirettore del “Roma”, Franco.

In quel giornale c’era anche un giornalista seduto al tavolo dei lavori, Mimmo Rubio, che oggi gira con una scorta numerosa quasi quanto quella di Gratteri, a causa di minacce ricevute da boss della zona di Arzano per i suoi articoli. E’ lui, Mimmo, il filo sottile ma di acciaio che lega le due trincee, quella dei veri cronisti e quelli dei veri magistrati impegnati molto sul campo e meno sui giornali.

Il tema dell’incontro è la libertà di stampa, di cui parlano Geppina Landolfo, Claudio Silvestri e successivamente Vittorio Di Trapani, ex capo dei sindacalisti di Usigrai e attuale presidente della Federazione nazionale della Stampa. La “libertà” di stampa è declinata in senso soprattutto legislativo, la riforma della giustizia, l’emendamento Costa, si spara a palle incatenate contro la riforma della giustizia che pone limiti alla pubblicazione di atti e intercettazioni, si enfatizza il lavoro di noi cronisti chiamati a lottare contro il potere che vuole imbavagliarci. Il bavaglio, in effetti, è la parola più usata al cospetto di Gratteri, a sua volta molto critico con la riforma Nordio e con le norme a tutela degli indagati e contro lo “sputtanamento”, ma è lui stesso che rifila un calcetto al presidente della Fnsi quando fa notare la “timidezza” della categoria quando c’era da contestare il primo “bavaglio” all’informazione, quello della riforma Cartabia. “Vi ricordo molto timidi, come mai? Ricordo perfino che a un’audizione in Commissione Giustizia nessun rappresentante dei giornalisti si presentò, uno perché non si era preparato, un altro perché aveva un impegno…”. Sorride maliziosamente, Gratteri, uomo di mondo che conosce la politica, anche senza praticarla.

Col governo Meloni c’est plus facile

E’ chiaro a tutti che il governo di destra, dei “fascisti” e dei “manganelli”, come tutti i giorni viene descritto su alcuni giornali, sia decisamente un bersaglio più semplice dei professionisti del “bavaglio”, molto più semplice di quel Draghi al quale la stampa riservava applausi a fine conferenza stampa e a cui nessuno contestava i manganelli quando la polizia era costretta ad usarli.

La Fnsi, per voce di Di Trapani, però, va un po’ oltre, forse troppo, bollando anche l’inchiesta del giorno, quella sui “dossier” rubati a strascico dagli archivi dell’Antimafia, come un attacco alla libertà di stampa, per i colleghi del “Domani” indagati. “Le fonti delle notizie non vanno indagate, i giornalisti nemmeno, se un giornalista ha una notizia deve pubblicarla!”. Gratteri, però, si tiene sugli aspetti giuridici della libertà di stampa, invitando i giornalisti a “mobilitarsi subito, non  dopo, a cose fatte, come per la riforma Cartabia”.

La domanda sull’inchiesta di Perugia di Cantone sugli spioni

Arriva il momento delle domande e dopo le rassicurazioni del procuratore ai giornalisti che lavorano tutti i giorni sulla giudiziaria sul nuovo corso “dialogante” e informante di Gratteri, il sottoscritto pone una domanda sull’inchiesta di Perugia, premettendo che sulla base del prestigio e dell’autorevolezza del giudice Cantone, “di cui tutti noi abbiamo stima e di cui conosciamo il rispetto per il lavoro dei giornalisti”, chiedendo al magistrato cosa pensi delle parole pronunciate in mattinata sull’inchiesta che sta svelando un verminaio, sui numeri mostruosi, ringraziando chi ha denunciato per primo (il ministro Crosetto, dopo la pubblicazione di articoli su alcune consulenze lecite) e negando sdegnato che l’inchiesta possa essere bollata come “bolla di sapone” o “attacco alla libertà di stampa”.

Dottor Gratteri – chiedo – anche lei ritiene che quell’inchiesta, per il fatto di aver coinvolto dei giornalisti, sia un attacco alla libertà d’informazione? Gratteri risponde, ma preferisce non entrare nel merito. “Non ho letto gli atti, non ho avuto modo di leggere tutte le dichiarazioni del dottor Cantone, dobbiamo aspettare gli esiti dell’indagine, su cui preferisco non esprimermi”. Più tardi, a incontro concluso, mi spiega di considerare prioritaria la questione della sicurezza informatica degli apparati statali e degli enti pubblici, “che vanno protetti dalla permeabilità”, ma nel caso specifico della violazione degli archivi dell’Antimafia “si è trattato di un caso singolo, isolato, una responsabilità personale”, una pecora nera, in sintesi. “Io devo difendere i giornalisti, sempre”, mi fa invece notare Di Trapani, e fa bene, certo, ma il mio parere è che per difendere i giornalisti coinvolti in modo incidentale in una inchiesta enorme su un funzionario statale – che potrebbe perfino aver venduto i segreti degli italiani a potenze straniere – non si può bollare un’indagine come attacco alla libertà di stampa. Soprattutto se chi indaga si chiama Raffaele Cantone.

La libertà di essere informati dai giudici e non dagli “infedeli”

L’incontro con Gratteri si chiude con il procuratore che spiazza tutti. A un collega che gli chiede chiarimenti su aspetti legati ai crimini informatici, il giudice risponde: “La aspetto domani mattina alla 8, nel mio ufficio”. A Pizzofalcone, e a Napoli, tira aria di sinergia e di rispetto tra chi lavora su fronti diversi contro la criminalità. Un’aria fresca, come la brezza di Santa Lucia.

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