Bologna, via la parola “patrioti” dalla toponomastica. Lepore “libera” i partigiani dalle influenze meloniane

11 Mar 2023 8:20 - di Annalisa Terranova
Bologna patriota

Ormai la notizia se non è choc, o piuttosto sciocca, non viene notata. Questo deve avere pensato la giunta bolognese che ha deciso che nelle vie e piazze cittadine i partigiani non devono più chiamarsi “patrioti”. Non sia mai li giudicassero, i partigiani, antenati degli iscritti a Fratelli d’Italia. Notizia choc e sciocca, appunto. Dunque di quelle che appassionano i media. A Bologna il sindaco del resto è Matteo Lepore, fervente sostenitore di Elly Schlein, e dunque uno convinto che grazie alla cancel culture si potrà realizzare nella sua città il diritto alla felicità.

Inutile far notare ai compagni bolognesi, come fa Corrado Ocone oggi su Libero, che il patriottismo attinge dalla Rivoluzione francese e dal linguaggio dei giacobini. Qui siamo dinanzi a un’evoluzione radical della sinistra. Loro sono cittadini del mondo e la loro bussola è Imagine di John Lennon. “Immaginate che non ci siano patrie/ Non è difficile farlo/ Nulla per cui uccidere o morire”. La loro unica religione è l’ambientalismo. Salvare il mondo dallo smog è il primo obiettivo del Pd d’impronta Schlein. Lo ha detto proprio lei da Lilli Gruber, dunque…

Si arrabbia un po’ Massimo Gramellini, che è figlio di partigiano, e sul Corriere commenta: “Però saranno consentite un paio di domande. La prima: perché cambiare le targhe proprio adesso, pochi mesi dopo l’insediamento del governo Meloni? Nel Paese, pardon nella nazione, anzi nella patria dei sospetti reciproci, sarà difficile convincere i cittadini di centrodestra che il tempismo dell’operazione sia soltanto uno scherzo del caso e non abbia invece un provocatorio significato politico. E poi: perché consegnare ad altri una parola bella e piena come patriota?”. Domande che fingono di ignorare un dato: la parola patria mai è piaciuta alla sinistra. L’hanno sempre schifata. Per Michela Murgia non era forse il caso di cominciare a parlare di “matria”? Per Tomaso Montanari non era forse il caso di cambiare l’inno di Mameli maschilista e guerrafondaio? Per la Cirinnà la triade “Dio-Patria-Famiglia” non stava ad indicare una “vita di merda” e per Saviano un crimine? E allora, caro Gramellini, di che ti stupisci?

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