La sinistra è passata da Pier Paolo Pasolini a Saviano: inequivocabile prova della decadenza

18 Nov 2022 19:40 - di Mario Campanella

Riceviamo da Mario Campanella e volentieri pubblichiamo

Cento anni fa nasceva Pier Paolo Pasolini, un giovane friulano, brillante, vocato alla scrittura e alla poesia. Era comunista ma proprio i comunisti dì Tito gli uccisero il fratello perché italiano. Il suo partito,il Pci, lo espulse perché omosessuale. Quel giovane conquistò la cultura con analisi spietate, lucide, individuando nella decomposizione consumistica il nemico dì un futuro destinato a rovesciare idee e progetti. Girò film memorabili, rappresentando l’eros e la spiritualità in chiave attuale, ribadendo da laico la supremazia delle idee sulla materia. In un articolo testamento sul Corriere della Sera, lanciò l’accusa al sistema, agganciando il dramma stragistico a una strategia ben definita che tendeva a separare i giovani in nome di un antifascismo di maniera per rafforzare il potere precostituito. Fu ucciso in circostanze misteriose.

Da Pier Paolo Pasolini a Roberto Saviano

30 anni dopo la sua morte un altro giovane, Roberto Saviano, napoletano, scriveva un libro sulla sua città, descrivendone un segmento isolato e residuale. Una narrazione stereotipata dì una delle più belle metropoli italiane, brand di bellezza nel mondo,che riscosse successo e fortuna. Milioni di copie vendute, film e fiction, diritti d’autore stratosferici, anticipi corposi sui futuri libri. Diventava così icona intellettuale della sinistra. Bastavano parole di circostanza contro Berlusconi e l’armata del pericolo destrorso per acclamarlo come protettore di un mondo progressista che cercava nella idolatria del nulla la sua consacrazione.

Lo spoglio intellettuale della sinistra di élite

Da Pier Paolo Pasolini a Roberto Saviano lo spoglio intellettuale della sinistra di élite fa emergere la nuda scarnificazione di un paradigma tendente alla liquidità che ha fatto prevalere la rimozione sull’analisi. Saviano il “coraggioso”, nume tutelare di cacciatori di fantasmi, che sì veste da guru per accostare l’Italia alla Polonia, per anatemi su un futuro assai incerto ora che la destra è pienamente saldata alla guida del governo. Se in un cinquantennio la sinistra è passata dalla copertura di un intellettuale straordinario e visionario, eternamente agganciato al presente, patrimonio comune di conoscenza e bellezza a un cantore seminatore di fobie e di proclami, qualcosa deve essere successo.

Quell’intuizione di Teodoro Buontempo

Teodoro Bontempo, con la saggezza degli umili, seppe riproporre Pasolini a destra oltre trent’anni  fa. E non sorprende che sia apparso nel pantheon costituivo di Fratelli d’Italia. Perché Pasolini era longitudinale nella sua descrizione di un’identità confusa. Proletarizzava la protesta, difendeva gli indifendibili, soprattutto esortava a ricercare nelle radici la bellezza come bontà. Saviano è una sorta di invenzione contemporanea. Una macchina perfetta di consenso materiale cui sì aggiungono paure, fantasie e proiezioni immaginifiche che una parte di questo Paese ha sempre apprezzato. Eleggerlo a rappresentante di una resistenza sociale è un esercizio di coraggio immenso. Dietro il suo atteggiamento condito da mimiche da attore consumato, non c’è niente. Nemmeno più la Secondigliano che ha dipinto ingiustamente come un agglomerato di droga e di illegalità.

Lo studio di Pier Paolo Pasolini

Pasolini richiede studio. È complesso, a tratti difficile da comprendere. Contraddittorio ma allo stesso tempo coerente. Sia quando intervista Ezra Pound, sia quando racconta nel Vangelo secondo Matteo l’aspetto più rivoluzionario di Cristo. Metterli sullo stesso piano è blasfemo ma è lo specchio naturale di quello che ha vissuto la sinistra italiana. Moravia lo predisse, parlando ai funerali di Pierpaolo, avvisando che non sarebbe nato facilmente un uomo simile. Il presente ci ha donato Saviano, il frutto di un decadimento che non accenna a passare. E vola incontrastato sulle nostre innocenze.

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