Processo Vaticano, scintille fra le difese e Pignatone: logica da Inquisizione. Il presidente del Tribunale: dichiarazioni fuori luogo

27 Apr 2022 20:07 - di Paolo Lami
Papa

Sale il livello dello scontro fra le difese degli imputati e il presidente del Tribunale, Pignatone nel processo onnicomprensivo per lo scandalo Vaticano dell’acquisto del palazzo londinese di Sloane Avenue che vede imputate anche altre persone per vicende diverse.

La questione che sta avvelenando il clima del processo in Vaticano è sempre la stessa; il mancato deposito di tutta la documentazione in mano alla giustizia vaticana e che dovrebbe essere messa a disposizione anche delle difese.

Già in precedenza, più volte, c’erano state contestazioni dei legali degli imputati su questo aspetto che è tornato centrale oggi, in maniera irruenta.

“Siamo in presenza di una logica ancora una volta incompatibile con i canoni del giusto processo, giacché – ha detto l’avvocato Luigi Panella, difensore del broker Enrico Crasso, nella memoria difensiva con la quale ha sollevato eccezioni di nullità per l’omesso deposito di cose sequestrate – sono lontani i tempi in cui il ‘directorium inquisitorum’ di frate Nicolas Eymerich, inquisitore generale di Aragona, spiegava che il principale ostacolo alla rapida celebrazione dei processi è la presenza di una difesa”.

Ha reagito il presidente del Tribunale, Giuseppe Pignatone, ex-capo della Procura di Roma bollando le dichiarazioni dell’avvocato Panella come “fuori luogo” e dichiarando il “non luogo a procedere” anche se il difensore di Crasso ha fatto sapere che impugnerà l’ordinanza.

Ieri, nel corso del suo interrogatorio, in occasione della tredicesima udienza del processo per lo scandalo finanziario legato alla compravendita del Palazzo londinese di Sloane Avenue, l’ex-direttore dell’Autorità antiriclaggio del Vaticano, Tommaso Di Ruzza, ha sostenuto che i suoi “unici interlocutori sono stati Papa Francesco, il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, e il Sostituto monsignor Edgar Peña Parra, i vertici dello Ior, l’Istituto per le Opere di Religione, il Presidente Jean-Baptiste Douville de Franssu, e il direttore generale Gianfranco Mammì, oltre che – per ovvie ragioni d’ufficio – l’allora Presidente dell’Aif René Brülhart e gli allora responsabili degli Uffici interni per la Vigilanza e la regolamentazione e per l’Informazione finanziaria”.

In dichiarazioni spontanee rilasciate  al Tribunale Vaticano, poi, Di Ruzza ha assicurato che “nel corso del mio servizio all’Aif non ho mai conosciuto o tenuto rapporti con Fabrizio Tirabassi, Gianluigi Torzi, Raffaele Mincione, l’avvocato Nicola Squillace, Enrico Crasso, o Cecilia Marogna“.

“Di contro, – ha detto – ho conosciuto per ragioni istituzionali monsignor Mauro Carlino – con il quale non ho mai intrattenuto alcun rapporto in relazione ai fatti oggetto del processo, se non per fissare incontri con il Sostituto mons. Edgar Peña Parra – così come il cardinale Angelo Becciu, che ho incontrato due volte in Segreteria di Stato nel 2018, in merito a questioni d’ufficio estranee ai capi di imputazione”.

Di Ruzza ha poi fatto presente ai giudici che la sua utenza del cellulare “non è presente in alcuna chat agli atti del processo e le mie frequentazioni sono state sempre facilmente riscontrabili: dal 2009 – e fino al mese di novembre del 2021 – ho risieduto nel complesso della zona extraterritoriale di San Calisto a Roma, monitorata 24 ore su 24 dalla videosorveglianza del Corpo della Gendarmeria“.

 

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