Tutti in galera. Lo sostiene Davigo: «L’errore italiano è dire: aspettiamo le sentenze»

29 Mag 2020 14:37 - di Valerio Falerni
Davigo

«Se invito a cena il mio vicino di casa e lo vedo uscire con la mia argenteria nelle tasche, non devo aspettare la sentenza della Cassazione per non invitarlo di nuovo». Piercamillo Davigo non si smentisce. Soprattutto, non smentisce la propria ambizione di guida suprema dei giustizialisti. Specie ora che la corporazione giudiziaria ha il morale sotto i tacchi per via delle compromettenti chat sequestrate a Luca Palamara, i cui contenuti stanno svelando uno spaccato triste e miserabile della magistratura italiana, almeno di quella parte avvezza alle protezioni e ad alle promozioni per meriti correntizi.

Il caso Palamara non ha insegnato niente

Davigo non è solo un membro del Csm o solo il leader di AeI, acronimo di Autonomia e Indipendenza, ultima sigla della galassia associativa delle toghe. No, il “dottor Sottile” è oggi un capo politico temuto e riverito. È lui il vero punto di riferimento del Cinquestelle, almeno in materia di codici e manette, e a lui guarda con sincera venerazione anche Marco Travaglio, star di ogni talk show. Come Davigo, del resto. La differenza è che il primo si confronta con altri ospiti,  mentre il secondo non ama il contraddittorio. Quando gli capitò di imbattersi in quello con il presidente delle Camere penali, Giandomenico Caiazza, ne uscì piuttosto malconcio.

Show di Davigo a Piazzapulita su la 7

La frase sull’argenteria l’ha pronunciata a Piazzapulita, ospite di Corrado Formigli. Una frase ad effetto, ma tutto sommato risibile. Soprattutto se la si collega a quella, ben più sconcertante, che la dice lunga su quanto sia ancora lunga la strada per ricondurre alla normalità il rapporto tra politica e giustizia. Eccola: «L’errore italiano è stato quello di dire sempre: aspettiamo le sentenze». Significa che basta un avviso di garanzia a far dimettere un amministratore, un parlamentare o un ministro. In teoria, potrebbe anche aver ragione. Non in Italia, però, dove non si contano i colleghi di Davigo “scesi” in politica dopo aver cavalcato inchieste politiche. Il sospetto che le abbiano avviate per liberarsi di avversari scomodi non ci abbandonerà mai.

Commenti

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  • Francesco Ciccarelli 30 Maggio 2020

    Fa un paragone assurdo, inoltre non considera che molti indagati si dimostrano innocenti: se fossero indagati per reati da pena capitale, finirebbero sul patibolo prima di essere scagionati e le scuse non servirebbero a niente!