Omicidio Varani, i legali di Foffo: «Era incapace di intendere e di volere»

1 Lug 2019 19:16 - di Redazione
I funerali di Luca Varani, assassinato da Manuel Foffo e Marco Prato

«Incapacità di intendere e di volere. Chiediamo questo. Chiediamo sia finalmente riconosciuta la totale assenza di lucidità di Manuel il giorno in cui Luca Varani è stato ucciso»: i legali di Manuel Foffo, uno dei due assassini di Luca Varani  – l’altro, Marco Prato, si è ucciso in cella – tentano la carta della pazzia e per tirare fuori il proprio assistito dal carcere il prima possibile. E quando mancano oramai due giorni alla sentenza della Cassazione sull’omicidio Varani anticipano come intendono muoversi nella loro strategia difensiva: «Chiediamo si tenga conto della sua dipendenza da alcol e droga così come dei suoi trascorsi psichiatrici e della cura farmacologica cui era sottoposto. Manuel è sedato. Manuel è un’ameba, Manuel sta male e deve essere curato».

Gli avvocati Itana Crialesi e Giammarco Conca, legali di Manuel Foffo, annunciano all’Adnkronos quelle che saranno le richieste ai giudici della Suprema Corte: «Non chiediamo sconti, non pretendiamo certo che il nostro assistito sia dichiarato innocente – sostengono – Lui stesso ha confessato, ammettendo le proprie responsabilità, semplicemente confidiamo nel riconoscimento delle condizioni psichiche di Manuel affinché venga chiuso in una struttura come un Rems che sia in grado di riabilitarlo, curarlo se possibile. Non è stato mai sottoposto a Tso, non ha tentativi di suicidio alle spalle, ma non è in sé da anni. Non è un delinquente, è una persona malata. Se resta in carcere, Manuel muore. Ogni volta che i familiari mi telefonano – spiega Crialesi – temo sempre sia successo qualcosa di terribile».

Le Rems – attualmente sono 30 gestite dalle Regioni – hanno sostituito gli Ospedali psichiatrici giudiziari aboliti nel 2013 e chiusi definitivamente a fine 2015. E accolgono le persone affette da disturbi mentali che hanno compiuto reati e ai quali viene applicata, dalla magistratura, la misura di sicurezza detentiva del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario o l’assegnazione a casa di cura e custodia.

«Io non mi sono accorto che stava male, non potevo immaginare – sostiene il padre, Valter Foffo – non parlava più ma è sempre stato introverso, quindi la cosa non mi ha mai preoccupato. Solo dal 2 gennaio, dopo quel video girato con Prato, l’ho visto più cupo. Era succube di quel ragazzo, aveva la fissazione di fargli cancellare il filmato in cui stavano insieme. Mio figlio deve pagare solo per le sue colpe, non per altro. In Cassazione non andrò – dice – ma andrò da Manuel in carcere».

I legali, che con Foffo, oggi unico imputato nel processo dopo il suicidio di Marco Prato hanno una fitta corrispondenza, raccontano di lettere strazianti.

Il 14 giugno scorso Foffo avrebbe scritto: «Sto male, non mi curano».
«Manuel viene guardato male in carcere, così come con disgusto ormai siamo guardati noi, suoi avvocati, ritenuti un tutt’uno con lui. E’ stato picchiato più volte nei tre anni di detenzione – racconta Crialesi – negli incontri che abbiamo con lui una volta a settimana è assente, emaciato, la mano con cui tiene la sigaretta trema e non lo visitano perché suscita antipatia a tutti».

Recluso nella sezione G9 precauzionale, Manuel Foffo «muore ogni volta un pò» dicono i suoi legali: «Riteniamo meriti aiuto perché è una persona interrotta, assume la terapia farmacologica tre volte al giorno ed è abbandonato in una struttura che inghiotte e non redime».

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