«Il mercato dei giudici è colpa di Renzi». Lo denuncia il Pd, ma lui querela Belpietro

8 Giu 2019 13:09 - di Valeria Gelsi

«Il mercato dei giudici? Colpa di Renzi. Noi l’avevamo svelato cinque anni fa». È il titolo d’apertura de La Verità di oggi. Un titolo che ha provocato l’ennesimo capitolo della guerra a suon di carte bollate tra l’ex premier e la stampa che lo critica. «Il senatore Matteo Renzi ha dato mandato oggi ai suoi legali di citare in giudizio il direttore Maurizio Belpietro per il titolo di oggi de La Verità e per il contenuto di due articoli sullo stesso tema», ha fatto sapere l’ufficio stampa di Renzi.

La “profezia” sull’«occupazione» della magistratura

I due articoli in questione sono un pezzo apparso il 20 giugno 2014 su Libero, quando il direttore era Belpietro, e l’editoriale di oggi dello stesso Belpietro. Nel primo, Giacomo Amadori (oggi a La Verità), ricostruisce quella che, ad avviso suo e del giornale per il quale scriveva, era la manovra di Renzi per «occupare manu militari il potere giudiziario come neanche nella Corea del Nord». Un «disegno» che, ricorda il quotidiano, prevedeva di «infilare uomini fidati nel Csm e abbassare l’età pensionabile per far nominare procuratori graditi». «Passò – ricorda oggi La Verità – la riforma più importante, quella sul pensionamento a 70 anni (da 75 che erano, ndr) dei magistrati, che, a partire dal 2017, ha portato a centinaia di addii e altrettante sostituzioni ai vertici di procure e tribunali».

Il post che accusa Renzi

Perfino più interessante della lettura ex post dell’articolo di Amadori, però, risulta la lettura di un post dell’ex procuratore antimafia e oggi eurodeputato del Pd, Franco Roberti. Il post, pubblicato il 5 giugno, è il cuore dell’editoriale di Belpietro, ovvero dell’altro articolo contro il quale Renzi ha annunciato querela. «Nel 2014 il governo Renzi, all’apice del suo effimero potere, con decreto legge, abbassò improvvisamente, e senza alcuna apparente necessità e urgenza, l’età pensionabile dei magistrati da 75 a 70 anni», ha scritto Roberti. «Quella sciagurata iniziativa – ha aggiunto – era palesemente dettata da un duplice interesse: 1) Liberare in anticipo una serie di posti direttivi per fare spazio a cinquantenni rampanti (in qualche caso inseriti in ruoli di fiducia di ministri, alla faccia della indipendenza dei magistrati dalla politica). 2) Tentare di influenzare le nuove nomine in favore di magistrati ritenuti (a torto o a ragione) più “sensibili” di alcuni loro arcigni predecessori verso il potere politico».

«Il disegno è almeno in parte riuscito»

«Il disegno è almeno in parte riuscito perché da allora, mentre il Csm affannava a coprire gli oltre mille posti direttivi oggetto della “decapitazione”, si scatenava la corsa selvaggia al controllo dei direttivi, specie delle procure. Il caso Palamara ne è, dopo cinque anni, la prova tangibile, sebbene temo sia soltanto la punta dell’iceberg», si legge ancora nel post, in cui Roberti chiede «alla libera informazione (sperando che esista ancora) di non perdere l’attenzione su questo scandalo» e al Pd «finora silente, di prendere una posizione di netta e inequivocabile condanna dei propri esponenti coinvolti in questa vicenda». Dunque, delle due l’una: o Belpietro ha hackerato il profilo di Roberti o Renzi, se vi rintraccia gli estremi, forse dovrebbe querelare l’ex procuratore antimafia, oggi “suo” eurodeputato.

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