Caso Regeni: la verità sta più a Londra che a Il Cairo. Ma, nessuno lo dirà mai
Nessuna verità per Giulio Regeni. Né ora né mai. Perchè la verità sta più a Londra che a Il Cairo. Ma, questo lo si potrà ipotizzare, mai affermare e spiegare. Giammai potrà farlo il Governo italiano, qualunque Governo! E neppure la Procura, qualunque Procura! La morte di Giulio Regeni appare destinata, oltre ad un ciclico e sempre più tenue ricordo, a rimanere uno dei tanti rebus irrisolvibili della nostra storia recente. Un ragazzo sacrificato, noi crediamo, sull’altare della guerra invisibile che ci è stata dichiarata dai servizi di Sua Maestà per impedirci la gestione degli enormi giacimenti di gas scoperti dall’Eni in Egitto. Qualcosa di analogo a quanto fatto dai francesi in Libia che eliminarono Geddafi per bloccare la corsia preferenziale con l’Italia. La decisione dei Pm romani di indagare alcuni funzionari dell’intelligence egiziana dopo che i filmati richiesti delle telecamere della metro (dove il ricercatore fu visto per l’ultima volta) si sono mostrati inutili e inutilizzabili, ha riacceso i riflettori sul caso. Tuttavia, quel che si nota è l’insitenza nella ricerca degli autori materiali dell’omicidio e nelle accuse al governo di Al Sisi. Il che, per carità!, è importante ma, non dirimente. Bisognerebbe indagare su mandanti e moventi. Almeno in contemporanea.
“Regeni ucciso per danneggiarci” disse Al Sisi
Al Sisi non è uno stinco di santo ma, ad un certo punto, un’indicazione ce l’ha pure data: “Regeni -disse- è stato ucciso per danneggiare le relazioni tra Italia ed Egitto“. Dichiarazione plausibile. Del resto, quale vantaggio ne avrebbe mai ricavato il generale egiziano dall’eliminazione del giovane ricercatore della Cambridge University? E, soprattutto, come mai in un paese dove ogni anno scompaiono nel nulla decine di oppositori per mano dei servizi segreti, è stato possibile ritrovare il cadavere del ragazzo italiano? Domande elementari. Destinate a restare senza risposta. E tuttavia, noi, che non siamo abituati a gettare i nostri neuroni nel calderone delle verità di comodo, un’idea ce la siamo fatta. Quella, appunto, del tentativo di danneggiarci. Una verità che corre a ritroso da Il Cairo sino a circa 100 km a nord-est di Londra, sino a Cambridge e a quell’ateneo tra i più antichi al mondo, serbatoio da sempre dei servizi britannici. È lì che bisognerebbe chiedere lumi su Regeni. E pretendere risposte chiare, non evasive. Sul perchè, per esempio, la sua tutor universitaria, la signora Maha Abdel Rahman nota per essere una simpatizzante (affiliata sarebbe più giusto dire!) dei Fratelli Musulmani (nemici giurati di Al Sisi), abbia insistito per mandare proprio il giovane italiano per quella “ricerca” e gli abbia anche assegnato sul posto una tutor nota per essere “dissidente”, quindi nemica del governo egiziano. Fatto inconcepibile e davvero preoccupante di cui lo stesso Regeni si lamentò via mail con un amico. Ecco, è certo che da quelle parti arriveranno (come già accaduto) solo risposte evasive e scontate. Negheranno sempre e comunque. Ed è per questo che finirà in un nulla di fatto anche l’indagine dei pm romani. Finirà che dovranno archiviare perchè nessuno di quelli che dovrebbe parlare lo farà. Né a Il Cairo né a Londra e neppure a Cambridge. Come per le vittime di Ustica, come per la scomparsa di Enrico Mattei: nessuna verità per Giulio Regeni.