Un film su Petljura, che lottò per l’indipendenza ucraina contro Rossi e Bianchi

20 Set 2018 16:59 - di Vincenzo Fratta

È da qualche giorno nelle sale delle principali città ucraine il nuovo film del regista Oles Yanckuk «Diario segreto di Simon Petljura», che narra la storia dell’uomo di stato che guidò la battaglia per l’indipendenza del suo paese dopo la Rivoluzione russa del 1917 e che divenne presidente della (prima) Repubblica Nazionale Ucraina nel febbraio del 1919.

Symon Vasyl’ovyč Petljura nacque a Poltava il 10 maggio 1879 da una famiglia di estrazione cosacca. Prima di diventare capo dello Stato fu pubblicista, scrittore giornalista e uomo politico di spicco nel Direttorio della Rada ucraina.

La Repubblica da lui guidata ebbe un’esistenza breve, appena venti mesi. Dopo aver costretto alla fuga l’atamano Skoropadskij, sostenuto dai tedeschi nei pochi mesi trascorsi dalla resa della Russia agli Imperi Centrali con il trattato di Brest-Litovsk del marzo 1918 a quella della Germania alla Triplice Intesa nel novembre dello stesso anno, Petljura dovette tenere a bada i polacchi nella Galizia e i romeni nella Bucovina. Ma soprattutto dovette combattere contro l’Armata Rossa di Lev Trotsky che scendeva da nord e l’armata Bianca filo monarchica di Anton Denikin che saliva da sud. Inoltre, nella parte meridionale dell’Ucraina, si dovevano anche fare i conti con le forze militari capeggiate dall’anarchico Nestor Macho.

Sia i Bianchi sia i Rossi non intendevano accettare l’indipendenza dell’Ucraina, mentre i guerriglieri di Machno erano pronti a dar battaglia a chiunque minacciasse il loro territorio. Gli anarchici finiranno per collaborare con l’Armata Rossa e contribuiranno alla sconfitta dei Bianchi per poi essere anch’essi annientati dai bolscevichi. Se gli altri contendenti avessero compreso le conseguenze che la vittoria dei sovietici avrebbe comportato negli anni a venire, in termini di sofferenze, vittime e perdita della libertà per l’Ucraina e la stessa Russia, e avessero unito le forze, invece di farsi sconfiggere uno per volta dall’Armata Rossa, probabilmente la storia avrebbe preso un altro corso.

Dopo la definitiva perdita di Kiev nel gennaio 1919 Peltjura dovette ritirarsi in Polonia e firmare nell’aprile del 1920 un’alleanza antisovietica con il maresciallo Józef Piłsudski, rinunciando alla sovranità ucraina sulla Galizia. L’esercito polacco, accresciuto dalle rimanenti truppe ucraine, dopo i successi iniziali e la riconquista di Kiev, fu battuto ripetutamente dalla controffensiva sovietica. Costretti a rientrare nel proprio territorio e con la stessa Warsavia minacciata dal nemico, i polacchi abbandonarono l’Ucraina al suo triste destino nelle mani dei sovietici nel marzo 1921, con il trattato di Riga.

Petljura continuò a dirigere il governo ucraino in esilio dalla città polacca di Tarnów fino al 1922, quando per evitare l’estradizione in Unione sovietica fu costretto a trasferirsi prima a Budapest, poi a Vienna, Ginevra e infine a Parigi dove si stabilì agli inizi del 1924. Qui fondò e pubblicò una rivista chiamata «Tridente», dal nome del simbolo nazionale ucraino.

Il 25 maggio 1926, mentre passeggiava per Rue Racine a Parigi, fu assassinato da un anarchico che gli scaricò addosso il caricatore della sua pistola. Ufficialmente l’omicida gli imputava delle responsabilità per i pogrom contro gli ebrei del 1919 – commessi, in quegli anni tormentati, da tutte le parti in lotta – ma probabilmente la sua esecuzione rientra nel lungo elenco degli oppositori di Mosca uccisi dai sicari del Nkvd, il servizio segreto sovietico che aveva sostituito la Čeca. Simon Petljura è sepolto insieme alla moglie e alla figlia nel cimitero di Montparnasse nella capitale francese.

Yanchuk, oggi sessantaduenne, ha concentrato la sua attività svolta presso gli Studi cinematografici Dovzhenko a Kiev, dove lavora dal 1984, nella realizzazione di film che ripercorrono avvenimenti e personaggi rilevanti della storia dell’Ucraina nel Novecento. Una storia pesantemente deformata, o nascosta del tutto, dalla vulgata sovietica. È infatti soltanto a partire dalla raggiunta indipendenza del Paese nel 1991, che gli ucraini hanno potuto cominciare a (ri)scoprire il loro passato.

Il primo film del 1991 «Carestia ’33» affronta il tema del genocidio per fame, inflitto da Stalin all’Ucraina (e in misura minore alle altre regioni controllate dai bolscevichi) nel biennio 1932-33. Ispirandosi al libro di Vasyl’ Barka «ll principe giallo», il regista riesce con inquietante realismo a far rivivere allo spettatore il dramma del popolo ucraino.

Il secondo film di Yanchuk «L’attentato» del 1985 è incentrato sulla figura di Stepan Bandera, il capo politico dell’Organizzazione dei Nazionalisti Ukraini (Oun), ucciso da un sicario bolscevico nel suo esilio di Monaco di Baviera nell’ottobre 1959. Il terzo lungometraggio «L’Invitto» del 2000, racconta la storia del generale Roman Šhukhevyć, comandante militare dell’Esercito di Liberazione Ucraino (Upa), che ha combattuto contro l’Unione Sovietica e in alcuni momenti contro la Germania tra il 1942 e 1954. Roman Šhukhevyć cadde in combattimento, dopo che il suo rifugio era stato scoperto probabilmente a causa di una delazione, il 5 marzo 1950.

Del 2004 è il film «La compagnia degli Eroi» che narra le vicende di un gruppo di guerriglieri ucraini operanti sullo sfondo della divisione dei territori ucraini tra Russi e Polacchi negli anni 1944-1947. Il quinto lavoro di Yanckuk «Metropolitan Andrey» affronta la figura del primate degli Uniati, la Chiesa cattolica di rito greco, Andrey Sheptytsky. Nato nel 1865 aveva cominciato il suo lungo apostolato quando la Galizia si trovava sotto l’Impero Asburgico. Alla sua morte nel 1944 nella Leopoli ormai in mano ai sovietici, Stalin avrebbe dato inizio alla dura persecuzione dei cattolici, cominciando con l’arresto e la deportazione del suo successore Josyp Slipyj.

In Italia le precedenti pellicole di Oles Yanchuk non sono mai arrivate. Ci auguriamo che «Diario segreto di Simon Petljura» possa invece essere presto ammirato anche sui nostri schermi.

 

Commenti

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  • Moreno Firmo 21 Settembre 2018

    Sono felice per questo articolo ma mi domando perche’ allora oggi non appoggiare l’Ucraina che sta combattendo per difendere la sua sovranita’ dall’aggressione della Russia di Putin . Siamo nazionalisti non imperialisti e questa guerra dura tutt’ora con piu’ di 12 mila morti , sopratutto giovani soldati ucraini che difendono la loro Patria .