Basta piagnistei sui giovani: sono diversi perché è cambiata la famiglia e la società

27 Nov 2017 14:57 - di Carlo Ciccioli

Non mi iscrivo al solito piagnisteo conservatore in cui si afferma che i giovani “non sono più quelli di una volta”. I giovani proprio perchè sono nati in condizioni storiche, sociali, culturali, scientifiche, tecnologiche diverse, non possono mai essere quelli di una volta. I giovani sono sempre il cambiamento. Ci troviamo però di fronte ad un cambiamento estremo come mai era avvenuto nei secoli di cui conosciamo la storia. È totalmente cambiata la famiglia, che era tradizionalmente composta di un padre, di una madre e di un gruppo di figli. Oggi la famiglia è sempre più spesso mono-genitoriale, spesso è scomposta e ricomposta e presenta figli di genitori diversi. Spesso è ultra-conflittuale e lo spazio per un ordine familiare riconosciuto è residuale. Frequentemente il figlio è unico ed anche quando è più di uno, la relazione con fratelli o sorelle è rarefatta: difficile usare la storica frase “ti voglio bene come un fratello” perchè il fratello non c’è o è in conflitto o completamente sconosciuto come persona all’altro. E’ cambiata l’organizzazione del lavoro ed è scomparso il rito dei pasti, che era il momento di relazione, di contatto e confronto prolungato tra genitori e figli. Tra l’altro è quello il momento della “gratificazione orale” e quindi di maggior disponibilità alla relazione. Il pranzo non esiste più e spesso anche la cena non è un’occasione di incontro per tutto il gruppo familiare al completo. Spesso uno dei genitori lavora e vive altrove e il momento di incontro è solo nel fine settimana durante gli spazi festivi, senza condividere la quotidianità della vita. Di fatto i luoghi della formazione sono solo quelli dell’incontro con i coetanei e la comunicazione generalista (televisione ed internet). Dove c’è tutto e il contrario di tutto, dove ciò che passa di più sono le mode suggestive, le emozioni e le rabbie, non mediate dalla relazione interpersonale. Il disadattamento e le difficoltà, vissute in modo anaffettivo ed estremo attraverso il video, affrontano senza guida il percorso scuola-lavoro, determinano un aumento significativo degli abbandoni scolastici, concentrati ai primi anni delle scuole superiori. Si genera una bolla estremamente significativa di giovani che non vanno a scuola e che non lavorano e presentano una particolare fragilità al disadattamento, alla devianza e spesso all’ingresso nell’area dell’illegalità e all’abitudine all’assunzione di alcool e sostanze stupefacenti. Questa è l’area dei giovani che sviluppano un atteggiamento di estrema frustrazione, perdita dell’autostima, rabbia e disperazione, sono senza motivazioni e vedono soltanto la prospettiva di un “non futuro”. Incide anche l’urbanizzazione e la concentrazione dei giovani in luoghi limite del centro e delle periferie, che sono i nuovi punti di aggregazione dei giovani senza identità. Un altro ruolo forte gioca la diminuzione dei riferimenti valoriali e culturali e la perdita dei modelli di identità e di imitazione consolidati. Non c’è più una figura autorevole e condivisa di padre o di madre sulla quale fondare il proprio progetto di vita futura. Come noto, i nostri neuroni apprendono per ben due terzi per imitazione e solo per un terzo per educazione verbale o didattica. Se non c’è un buon modello da imitare, si apprendono soprattutto trasgressione e cattivi esempi. Contribuisce l’aumento dell’età in cui le coppie fanno i figli. Fino a pochi decenni fa esistevano le figure dei nonni a vicariare la temporanea assenza in casa dei genitori e trasferivano essi stessi ai nipoti valori tradizionali e presenza fisica. Oggi l’aumento dell’età media delle gestanti (tutte oltre i 30/35 anni ), fa sì che i nonni, molto invecchiati, non siano più in grado di svolgere questa funzione e necessitano essi stessi di sostegno, al contrario del passato. E’ venuta meno fortemente la funzione educativa che è fondamentale nel passaggio del testimone tra le generazioni. Siamo di fronte ad una sorte di abbandono dei ragazzi a se stessi, piuttosto che un percorso per mano a farli crescere, sostenerli nei passaggi rituali dell’adolescenza e nella trasformazione in giovani adulti, autonomi ed autosufficienti psicologicamente, socialmente ed economicamente, per affrontare la vita di coppia, di lavoro e di relazione.

Siamo di fronte quasi ad una frattura irrecuperabile tra le generazioni, in cui gli adulti non lasciano più ai nuovi giovani né percorsi educativi, né posti di lavoro, né la pensione futura. C’è una perdita di coesione e di solidarietà intergenerazionale impressionante, angosciosa e preoccupante. “Siamo soli”, afferma il cantante Vasco Rossi, che è l’antenna più sensibile della generazione, dice “tutto può succedere, siamo qui, siamo vivi, siamo soli, siamo soli”. Aldilà del contesto, sentimentale, è la declinazione di uno stato esistenziale, in cui vivono i nuovi giovani ormai da molti anni. Occorre recuperare questa deriva, contrastando la deresponsabilizzazione dei genitori nei confronti dei figli, che rinviano alle Istituzioni o genericamente “agli altri” il loro ruolo. Arriverei a dire che la presenza dei genitori dovrebbe addirittura essere garantita per legge attraverso una formazione doverosa dei genitori nelle scuole, con recupero in caso di assenza, in incontri di discussione a scuola tra genitori e ragazzi. Essenziale è l’ascolto: i genitori non conoscono i loro figli, ma anche i figli non conoscono i loro genitori e la scuola deve ritornare ad essere un luogo educativo e non solo di formazione per le conoscenze. Per questo anche gli insegnanti devono essere riconvertiti ad un ruolo educativo troppo spesso abbandonato. Un cambio di marcia in cui i figli non devono solo essere protetti dai genitori, in modo talvolta anche diseducativo, ma essi stessi cresciuti al senso di responsabilità. L’altro aspetto che va assolutamente recuperato è l’idea di avere un passato, come famiglia e comunità, e di avere un futuro. Non ideare il futuro, non sognare, conduce a vivere solo il presente del “tutto e subito”, dell’apparenza e a costruire nei giovani dentro di sé un conflitto forte con il passato senza proiettarsi in un futuro possibile e grande. Passare dal sentimento di vergogna, se non si è eguali a tutti gli altri per abbigliamento e condotte conformiste, ad una sana competizione con gli altri, evitando il ritiro nella solitudine. E’ impensabile che i giovani vivino in solitudine nei social o su youtube. La società non deve riportare ai “sensi di colpa” dei giovani delle vecchie generazioni, ma al “senso di responsabilità”. I giovani occidentali devono ricostruire la visione di un “progetto di vita” che dia senso alla loro esistenza. E’ essenziale per non far morire la nostra civiltà.

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