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Meeting di Rimini. Addio Parsifal, oggi i ciellini si scaldano per Bertinotti

Home livello 2 - di Annalisa - 26 Agosto 2017 - AGGIORNATO 27 Agosto 2017 alle 13:09

La politica cosiddetta liquida, come la società del resto, non poteva non contagiare Comunione e Liberazione. Non che gli eredi di don Giussani non facciano politica, anzi. Su questo terreno sono vigili e ben presenti come sempre. Ma non sono più in grado – e non solo loro – di agitare miti e bandiere. Prendiamo l’edizione 2017 del Meeting di Rimini: i favori del pubblico non vengono negati al moderato premier Gentiloni e al ministro degli Interni Minniti. L’anno scorso, non a caso, era stato accolto con calore anche Angelino Alfano…

Ma come la mettiamo con le ovazioni a Fausto Bertinotti? L’ex leader di Rifondazione comunista ha parlato dinanzi a un pubblico entusiasta di almeno 1500 persone, che Bertinotti non ha esitato a compiacere: “Sarà significativo che la mostra sul 1917 la faccia il Meeting di Cl e non una forza politica di sinistra… Questo perché nella storia di Comunione e Liberazione la tradizione è viva, mentre certa sinistra se ne è disfatta diventando colpevole di una damnatio memoriae”. Applausi che, quando Bertinotti dice che “dobbiamo porci il tema della fede”, si fanno ancora più convinti. Anche il feeling con i vecchi comunisti è possibile. La parola d’ordine, la nuova parola d’ordine, è la concretezza. 

Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la sussidiarietà e a lungo guida della Compagnia delle opere, intervistato dal Corriere, ha spiegato cosa significa il titolo del Meeting, che è una frase di Goethe: «Quello che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo». «Siamo in un’epoca – dice Vittadini – in cui abbiamo perso tutto e dobbiamo ricominciare daccapo. Mi viene in mente Rocky 3 che deve lottare per riconquistare ciò che ha perso. Ma per farlo bisogna avere un desiderio non ridotto, dei valori, una fede». E si capisce che l’era Renzi è data per archiviata. Ora contano le persone, più che le sigle. 

Restano comunque lontani, remotissimi,  i tempi in cui il Meeting era modello per destra e sinistra alle prese con il tramonto delle narrazioni ideologiche novecentesche. Lontanissimi i raduni che deflagravano nel dibattito giovanile interrogandosi sugli archetipi della tradizione occidentale: Parsifal, Socrate, Sherlock Holmes, Antigone. Nell’anno di grazia 1985 il popolo di don Giussani toccò l’apice della sua storia. Con centocinquantamila aderenti poteva permettersi di riesumare dalle nebbie del medioevo i cavalieri del Graal e di fare a meno della visita del segretario Dc Ciriaco De Mita, così come due anni prima aveva fatto a meno di quella del presidente “partigiano” Sandro Pertini.
 
Osò inoltre  lanciare un messaggio ai giovani disorientati dalla politica dopo la stagione luttuosa degli anni di piombo: «La Bestia è infelice, Superman è un uomo solo, mentre Parisfal è libero perché sa crescere». Sono gli anni in cui il Meeting riesce a sovvertire i paradigmi dei vecchi partiti: è la cultura a tenere in braccio la politica. E i ciellini non temono di avventurarsi su terreni inesplorati: non riscoprono solo il Medioevo con le opere di Régine Pernoud e di padre Chenu, non si abbeverano solo dell’antropologia cattolica di Henri de Lubac, incrociano Pound, Peguy e Pasolini. Invitano a Rimini Augusto Del Noce, di cui è allievo il filosofo del movimento, Rocco Buttiglione.
 
Oggi si legge l’ateo e nichilista Houllebecq, nessuno crede alla pace tra i popoli e non c’è più un Lech Walesa da invitare a Rimini. L’imperativo della “visibilità nella società” deve essere rivisto, magari accontentandosi di qualche poltrona in consiglio regionale.

 

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26 Agosto 2017 - AGGIORNATO 27 Agosto 2017 alle 13:09