Vanna Marchi: liberazione anticipata Era in affidamento ai Servizi sociali

2 Nov 2015 18:22 - di Roberto Frulli

Da venerdì mattina Vanna Marchi ha cessato l’espiazione della pena principale e di tutte le pene accessorie: il magistrato di Sorveglianza di Bologna ha infatti accolto l’istanza di concessione della liberazione anticipata, avanzata dal difensore della celebre “regina delle televendite“, avvocato Liborio Cataliotti. E’ stato lo stesso legale a darne notizia. Marchi, 73 anni, stava scontando la pena in regime di affidamento in prova ai servizi sociali lavorando nel bar-ristorante del fidanzato della figlia Stefania Nobile, “La Malmaison” in via Torriani a Milano. Aveva condanne in processi per associazione per delinquere, truffa e bancarotta. Grazie all’indulto e al riconoscimento, da parte della Cassazione, della continuazione dei reati, in via definitiva sono diventati quattro anni e mezzo. Arrestata a marzo 2009, dopo circa un anno ottenne la semilibertà. In seguito ha avuto la sospensione dell’esecuzione per curare la figlia Stefania, che ha finito a propria volta di scontare la pena a ottobre 2013.
In una celebre intervista a “Domenica Live“, su Canale 5, Stefania Nobile raccontò, una volta uscita dal carcere, con grande lucidità e altrettanta schiettezza e dignità, quella che era stata l’esperienza della carcerazione. Un’esperienza devastante che, nel suo caso come in altri, non ha avuto nulla di rieducativo ma si è estrinsecata in un’umiliazione della persona. «Io non sono innocente, ma ho finito di pagare le miei colpe» fu la premessa. E a chi le chiedeva se era pentita di ciò che aveva fatto replicò scena indugi: «No, io odio i pentiti perché per me il pentito è un collaboratore di giustizia che cerca, incolpando gli altri, di non pagare le proprie colpe. Non ho chiesto né patteggiamento, né il rito abbreviato. Io ho affrontato il mio processo andando a tutte le udienze. Merito rispetto per aver scontato la pena».
Poi, incalzata dalle domande, disse ciò che veramente pensava: «Sono a favore dell’amnistia, dell’indulto, ma soprattutto sono a favore delle carceri migliori, perché le carceri sono una vergogna. Sono una cosa vergognosa di questo Paese, perché è giustissimo che chi sbaglia paghi, ma c’è modo e modo di pagare. Per pagare non c’è bisogno di essere trattati peggio delle bestie e in condizioni sanitarie paurose».
«Quando si esce dal carcere – raccontò la Nobile davanti alle telecamere di Domenica Live rivelando di essere stata umiliata in tutti i modi – non è vero che tutti gli agenti penitenziari sono gentili». Veniva derisa, lasciata per ore senza potersi asciugare i capelli, bloccata con le manette particolarmente strette: «per colpa della mia artrite reumatoide dovevo tenere le manette un po’ meno strette, ma c’è stato chi si divertiva a stringermele di più. Posso dire che io sono stata trattata peggio». Ricordò di essere costretta a fare la doccia in un locale con le pareti sporche di escrementi e che a molte detenute veniva consentito di abusare di tranquillanti e psicofarmaci.
«L’insulto più doloroso è stato sentir dire che ho inventato la malattia per uscire dal carcere. Quando sono uscita non sono andata a Courmayeur, ma sono andata in un centro clinico e soprattutto lasciavo lì mia madre, il mio più grande amore della vita».

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