Cina, nuovo attacco all’Occidente: la religione sia al servizio del Partito

20 Mag 2015 17:17 - di
Il presidente cinese Xi JInping

La dittatura cinese torna all’attacco del Vaticano e di tutto l’Occidente. Le religioni in Cina devono essere indipendenti dalle influenze straniere, adattarsi alla società cinese e impegnarsi a essere leali allo Stato: lo ha detto il presidente Xi Jinping. Xi lo ha detto in una riunione ad alto livello, e la radio statale ha dato ampio rilievo all’intervento presidenziale. Pechino è convinta che forze straniere ostili al regime al governo possano infiltrare la società cinese attraverso le religioni, non rispettando le regole del partito comunista. Secondo Nuova Cina il presidente ha chiesto «sforzi significativi per incorporare le religioni nella società socialista», promettendo di rispettare la politica del partito sulla libertà religiosa e la gestione degli affari religiosi nel rispetto della legge. Xi ha chiesto un atteggiamento equilibrato nei confronti delle religioni, riconoscendo il contributo degli uomini di fede alla società, e garantendo che è sua intenzione incoraggiarli a continuare a lavorare per lo sviluppo economico, sociale e culturale del Paese, come anche per l’unità dei gruppi etnici e l’unificazione della patria.

Tensione tra Usa e Cina alle stelle per la questione delle isole

La nuova sortita di Pechino giunge proprio all’indomani delle nuove tensioni con Washington. Gli Stati Uniti infatti stanno valutando l’uso di aerei e navi militari per fronteggiare le rivendicazioni territoriali di Pechino nel sud del Mar della Cina, in quelle che Washington e il resto della comunità internazionale considerano acque extraterritoriali. E la Cina esprime forte preoccupazione per queste ipotesi. Proprio in quest’area le autorità cinesi stanno da tempo realizzando una lunga striscia di isole artificiali grazie alle quali poter controllare uno specchio d’acqua in cui transitano navi verso diversi Paesi del sudest asiatico alleati degli Stati Uniti, a partire dal Giappone, dalle Filippine e dal Vietnam. La tensione, così, è tornata alle stelle. È stato il capo del Pentagono, Ashton Carter, a chiedere al suo staff di esaminare e mettere a punto diverse opzioni che consentano di contrastare in maniera più efficace i tentativi della Cina di imporre la sua egemonia nella regione. Opzioni – rivela il Wall Street Journal – che comprendono voli di ricognizione di aerei della marina militare Usa e l’invio di navi da guerra entro le 12 miglia marine dalla barriera corallina. Barriera che navi battenti bandiera cinese – come mostrano chiaramente le immagini colte dai satelliti – stanno riempiendo in più punti con della sabbia. Pechino sta realizzando un vero e proprio arcipelago artificiale (chiamato Spratly Island) su cui avrebbe già realizzato piste di atterraggio abbastanza grandi per ospitare caccia militari e aerei da ricognizione, oltre che approdi per le sue navi. Solo nell’ultimo anno la superficie delle isole in questione sarebbe passata dai 2.000 agli 8.000 chilometri quadrati. Questo nonostante i ripetuti e inascoltati moniti di Washington, che ha già detto che non accetterà mai tali rivendicazioni territoriali da parte di Pechino. Insomma, se il piano del Pentagono riceverà il via libera della Casa Bianca, la decisione – concordano gli osservatori – rischia di innescare una pericolosa escalation tra i due Paesi nell’area del Pacifico, la più pericolosa di sempre. Con buona pace delle ambizioni di Barack Obama e di Xi Jinping che da tempo lavorano per aprire quella che hanno definito “una nuova èra” nelle relazioni cino-americane.

Prosegue anche la guerra di spie tra Usa e Cina

Intanto prosegue tra le due superpotenze anche la guerra delle spie: gli Usa rinviano a giudizio sei cittadini cinesi, di cui tre professori della Tianjin University. L’accusa è quella di spionaggio industriale ai danni della Silicon valley. Uno dei sei incriminati è stato arrestato sabato all’aeroporto di Los Angeles, appena rientrato per partecipare a una conferenza. Gli altri cinque sono in Cina. Le accuse nei confronti dei sei cinesi rappresentano l’ultimo affondo, in ordine temporale, degli Stati Uniti sul presunto spionaggio della Cina sulla società americane per rubarne i segreti. Nel 2014 cinque militari americani sono stati incriminati per spionaggio economico e cyberattacchi. Fra il 2009 e il 2013 l’Fbi ha denunciato un aumento del 60% delle indagini per segreti industriali e i loro furti. I sei incriminati hanno studiato negli Stati Uniti e hanno lavorato in due piccole società di chip americane, Avago Tecnologies e Skyworks Solutions. E proprio da queste due aziende hanno rubato informazioni su una tecnologia usata negli smartphone, nei tablet e nei dispositivi GPS. La tecnologia sottratta è stata poi invitata in Cina, alla Tianjin University, con la quale avevano creato una joint venture per produrre e vendere apparecchiature con la tecnologia rubata. Nei documenti depositati, l’accusa cita alcune email che i sei si sarebbero scambiati nel 2006, quando lavoravano ancora negli Stati Uniti.

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