Il genocidio degli Armeni: l’Italia guarda con “freddezza” al centenario
Il genocidio degli Armeni non è solo una pagina di storia dimenticata. Attorno alla commemorazione dell’eccidio cominciato cento anni fa, il prossimo 24 aprile, si intrecciano questioni diplomatiche, geopolitiche, culturali e religiose. Questioni in cui anche l’Italia è coinvolta: il 24 aprile infatti avrà luogo a Yerevan, capitale dell’Armenia, la commemorazione solenne del massacro del popolo armeno alla presenza di numerosi capi di Stato (tra cui Putin e Hollande). Una cerimonia alla quale l’Italia non sembra dare particolare importanza: Matteo Renzi infatti non sarà presente, né lo saranno a quanto pare i capi delle commissioni esteri del Parlamento. Il motivo è presto spiegato: si tratta di non turbare gli equilibri diplomatici con l’Azerbaijan i cui rapporti con l’Armenia (a causa della disputa sulla potestà territoriale del Nagorno Karabakh) continuano ad essere piuttosto tesi. L’Italia ha tutto l’interesse a mostrarsi supera partes rispetto alle questioni caucasiche per gli interessi economici legati al Gasdotto Tap che parte proprio dall’Azerbaijan. Non a caso è passata quasi sotto silenzio la visita del presidente armeno Sargsyan al nostro capo dello Stato Sergio Mattarella (Renzi ha evitato invece di incontrarlo).
La reazione dei media turchi
Altra questione non di poco conto è l’irritazione della Turchia per l’uso della parola genocidio da parte di papa Francesco. Una reazione che Federica Mogherini sostiene essere attentamente valutata in ambito Ue stante la candidatura turca all’ingresso in Europa. Con l’ultima reazione alle parole di Papa Francesco sul genocidio armeno, la Turchia è ora senza ambasciatori in sette paesi, per crisi provvisorie o prolungate. Oltre all’ambasciatore in Vaticano Mehmet Pacaci, richiamato ieri per consultazioni dopo che il Pontefice ha pronunciato la parola “genocidio” che Ankara non vuole sentire, da tempo sono stati richiamati gli ambasciatori in Israele, Egitto, Libia e Siria, mentre non sono mai stati nominati in Armenia e a Cipro, due paesi con i quali Ankara non ha relazioni diplomatiche. Il ministro degli esteri turco Mesut Cavusoglu ha definito “inaccettabili” le parole del Papa.
Anche Obama pronuncerà la parola “genocidio”?
In passato la Turchia è stata più volte protagonista di incidenti diplomatici con paesi che hanno riconosciuto il genocidio armeno perpetrato dai ‘giovani turchi’ nell’ultimo periodo dell’impero ottomano. Prevedibilmente la stampa vicina al governo islamico critica Papa Francesco per avere detto, citando una dichiarazione del 2000 di Giovanni Paolo II e del patriarca armeno Kerakin, che si è trattato del “primo genocidio del XX secolo”. Su Hurriyet l’analista Murat Yetkin si chiede se ora anche Barak Obama in vista del centenario del genocidio il 24 aprile pronuncerà la parola fatidica. Per evitare crisi con Ankara, il presidente Usa finora ha usato il termine armeno “Meds Yeghern” (“Grande Calamità”). Obama però, ormai al termine dell’ ultimo mandato, sembra determinato a fare i conti con la storia, con i processi di normalizzazione avviati con Iran e Cuba. “Questo prevede anche, si chiede Yetkin, chiamare ‘genocidio’ la ‘Calamità’ del 1915, incurante delle conseguenze politiche?”.
Chi erano i Giovani Turchi
Va ricordato infine che il genocidio del popolo armeno non fu pianificato per ragioni religiose ma politiche dai Giovani Turchi i quali auspicavano la creazione di uno stato nazionale linguisticamente e culturalmente omogeneo. Il 24 aprile 1915 vennero avviati i provvedimenti per la liquidazione del popolo armeno con l’arresto di 2354 armeni (dirigenti politici, intellettuali, uomini d’affari, giornalisti, studenti, funzionari pubblici). Si manifesta una novità nelle azioni belliche: lottare e uccidere non per spostare o difendere confini ma per annientare un popolo “nemico”.