«Contrada non andava condannato». La Corte di Strasburgo umilia la giustizia italiana

14 Apr 2015 13:58 - di Giacomo Fabi

La notizia è clamorosa: l’ex-numero due del Sisde Bruno Contrada non doveva essere condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti umani perché, all’epoca dei fatti contestati, dal 1979 al 1988, il reato non «era sufficientemente chiaro». E ora lo Stato italiano, cioè tutti noi, dovrà versare all’ex-poliziotto 10 mila euro per danni morali.

Contrada recluso per un reato che ancora non esisteva

La decisione di Strasburgo aggiunge quindi un nuovo capitolo ad una storia infinita che da ben 23 anni vede l’ormai 84enne Contrada battagliare nelle aule dei tribunali di mezza Italia per protestare la sua innocenza nonostante una condanna definitiva e la restrizione in carcere, di recente affievolita con gli arresti domiciliari concessi anche lì per l’intervento dei giudici europei che comminarono una prima condanna all’Italia perché lo teneva in carcere nonostante gravi problemi di salute. Arrestato, la vigilia del Natale ’92, l’anno delle stragi palermitane, poi a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa, il superpoliziotto napoletano è stato condannato a 10 anni di carcere il 5 aprile ’96. Sentenza ribaltata dall’assoluzione ottenuta in Corte d’appello il 4 maggio 2001. Quindi il rinvio della Cassazione a Palermo, nuova condanna a 10 anni nel 2006  (dopo 31 ore di Camera di consiglio) e conferma definitiva in Cassazione l’anno successivo. Quindi il carcere, i domiciliari e poi i tentativi di revisione del processo e gli appelli alla corte di Strasburgo per i diritti umani.

Il 18 giugno i giudici di Caltanissetta decideranno sulla revisione del processo

Che ora ha riaperto il caso anche sul fronte giuridico in base al principio del nulla poena sine lege, che significa che nessuno può essere condannato né punito per un reato che non esisteva. Il concorso esterno in associazione mafiosa, infatti, è il frutto di un’elaborazione giurisprudenzialei iniziata verso la fine degli anni ’80 e consolidatasi nel 1994 e quindi successiva alle condotte contestate a Contrada. I giudici di Strasburgo, a differenza di quelli italiani, gli hanno dato ragione, affermando che i tribunali nazionali, nel condannarlo non hanno rispettato i principi fondamentali di «non retroattività e di prevedibilità della legge penale». In tutti questi anni l’ex-dirtigente del Sisde ha combattuto per vedersi «restituire l’onore che mi hanno tolto» ricordando sempre i successi ottenuti contro Cosa Nostra. Quel che più lo ha fatto soffrire è la nebbia calata nel processo sul suo rapporto col capo della mobile di Palermo, Boris Giuliano, assassinato nel luglio ’79 da Leoluca Bagarella mentre prendeva un caffè da solo al bar. «Eravamo due fratelli – ha sempre ricordato – lavoravamo fianco a fianco. Non mi sono mai fermato nelle indagini sul suo omicidio». La prossima tappa del calvario di Bruno Contrada è prevista per il 18 giugno prossimo alla Corte di appello di Caltanissetta dove due mesi fa il suo avvocato, Giuseppe Lipera, ha presentato la quarta domanda di revisione del processo.

 

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