L’Oms sapeva dell’Ebola. Ma non lo disse subito per “ragioni economiche”

20 Mar 2015 12:15 - di Giorgio Sigona

Ai primi di giugno dello scorso anno l’epidemia di Ebola registrata in Guinea fu la più grave mai verificatasi in termini di vittime. I lavoratori stranieri furono evacuati. I più importanti luminari impegnati sul fronte delle epidemie avvertirono che il virus avrebbe potuto presto espandersi in tutta l’Africa occidentale. Ma l’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) non lanciò l’allarme fino ad agosto, nonostante i dirigenti in Africa avessero proposto di farlo in giugno, secondo quanto ha scoperto l’Associated Press.

Ebola, il ritardo dell’Oms

Il ritardo di due mesi, osservano alcuni, può essere costato molte vite umane. Più di 10.000 persone si crede siano state uccise dal virus da quando l’Oms per la prima volta rivelò l’esplosione un anno fa. L’Oms dice che l’espansione del virus fu senza precedenti e attribuisce la responsabilità del ritardo a diversi fattori, tra i quali la mancanza di risorse e di intelligenze sul campo. Documenti interni ottenuti dalla Asociated Press, tuttavia, dimostrano che i top manager dell’Oms vennero informati di quanto la situazione fosse disastrosa. Ma aspettarono a dichiarare un’emergenza in parte perché l’annuncio avrebbe potuto far arrabbiare i paesi coinvolti, interferendo coi loro interessi minerari o provocando limitazioni nel tradizionale pellegrinaggio di ottobre dei musulmani alla Mecca.

 L’emergenza per l’Ebola? «Ultima spiaggia»

Dichiarare un’emergenza era «un’ultima spiaggia», disse la dottoressa Sylvie Briand, direttrice del dipartimento malattie pandemiche ed epidemiche, in una mail del 5 giugno 2014 ai colleghi che ventilarono l’idea dell’annuncio immediato. «Può essere più efficace usare altri mezzi diplomatici per ora», aggiunse. Cinque giorni dopo la mail della dottoressa Briand, la direttrice generale dell’Oms Margaret Chan ricevette una relazione che avvisava di episodi di Ebola prossimi a manifestarsi in Mali, Costa d’Avorio e Guinea Bissau. Ma si continuò a dire che dichiarare un’emergenza internazionale o anche creare un comitato per discutere la situazione «poteva essere visto come un atto ostile». Tra le voci in disaccordo con questa impostazione quella di Michael Osterholm, esperto di malattie infettive dell’Università del Minnesota: «È come dire che non vuoi chiamare i vigili del fuoco perché temi che gli autocarri possano creare disturbo», fu il suo commento.

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