Dopo 70 anni l’Europa di Drieu La Rochelle non si è ancora vista

16 Mar 2015 18:40 - di Antonio Pannullo
Pierre Drieu La Rochelle

A settant’anni dalla tragica morte, il pensiero e gli scritti di Pierre Drieu La Rochelle sono ancora attualissimi. Malgrado lui sia sempre stato considerato, letterariamente parlando, un inattuale. E per giunta dalla parte sbagliata. Faceva infatti parte di quella schiera di intellettuali francesi – e non furono pochi – che presero posizione per il fascismo internazionale, come Robert Brasillach, Jacques Doriot, al cui partito popolare Drieu aderì, André Malraux e moltissimi altri. Disperato per la fine dell’Europa che sognava, accusato di collaborazionismo, La Rochelle si uccise nella sua casa di Parigi staccando il tubo del gas e ingerendo una dose letale di Veronal. Va detto che la mistica del suicidio aveva sempre affascinato Drieu, ne parla in uno dei suoi lavori più belli, Fuoco Fatuo, breve romanzo ispirato al suicidio del suo amico Jacques Rigaut, nel 1929, pittore surrealista disgustato dalla mancanza di ideali forti. Drieu La Rochelle era di famiglia normanna, ma residente a Parigi, dove nacque nel 1893. Nel 1914 si arruolò volontario e partecipò alla Grande Guerra, rimanendo ferito più volte. Esce traumatizzato da quell’esperienza, sulla quale scrisse il suo primo romanzo, La commedia di Charleroi. Gli anni post bellici furono caratterizzati da un matrimonio e un divorzio, dalla stesura di altri scritti geopolitici, dall’avvicinamento all’Action française, dalla scoperta dell’Europa come punto di riferimento. Solo nel 1934, in seguito alle manifestazioni filo fasciste in tutta la Francia, egli si dichiara apertamente. Quello stesso anno scrive il saggio Socialismo fascista contro la decadenza della politica contemporanea e aderisce al partito di Doriot. Aderisce alla Francia di Vichy, diventando dal 1940 al 1943 direttore della rivista Nouvelle Revue française, fondata da André Gide, che dopo la liberazione fu proibita per collaborazionismo. Drieu è un altro di quegli scrittori maudits di cui in Europa – e nella stessa Francia – si è tentato di cancellare la memoria e le opere. Ma Drieu era un gigante della letteratura, e oggi è uno degli autori francesi più conosciuti e tradotti, anche se solo nel 2012 il suo lavoro entra nella prestigiosissima Bibliothèque de la Pléiade, una delle collane più famose al mondo. In Italia il suo nome era pressoché sconosciuto ai più: ce lo fecero conoscere nel 1965 due pubblicazioni, una curata da Adriano Romualdi, Guido Giannettini e Mario Prisco, Il mito dell’Europa, edizioni  del Solstizio, e l’altra di Pol Vandromme, Pierre Drieu La Rochelle, edizioni Borla, con prefazione di Alfredo Cattabiani.

Solo negli ultimi anni la riscoperta editoriale di Drieu La Rochelle

Ma erano sempre libri di nicchia, dedicati a pochi estimatori. Un pubblico leggermente più ampio lo raggiunse il professore finlandese Tarmo Kunnas nel suo lavoro La tentazione fascista, edito per La roccia di Erec nel 1982. Nel 1985 le edizioni Ciarrapico riproposero il saggio di Paul Serant, Romanticismo fascista, proposto da Il Borghese nel 1971. Ma è solo negli ultimi decenni che le grandi case editrici hanno iniziato a pubblicare l’opera completa di Drieu, compreso il suo capolavoro, Gilles, del 1939. Ma allora, perché la scarsa notorietà di Drieu in Europa? La risposta l’ha data Adriano Romualdi, nel suo saggio citato, e riguarda il fatto che Drieu aveva capito che non si possono servire contemporaneamente, nel suo mestiere, la verità e la notorietà; scegliendo la prima, Drieu ha scelto l’impopolarità, lasciando però che la sua validità resistesse allo scorrere del tempo. E così è stato: l’analisi su un’Europa che non poteva rimanere schiacciata tra capitalismo e comunismo regge ancora oggi. Drieu sognava un continente forte, solido, indipendente. Ma di quell’Europa a tutt’oggi non c’è traccia. «Sono diventato fascista perché ho visto i progressi della decadenza. Ho veduto nel fascismo il mezzo per frenare ed arrestare questa decadenza», scriverà agli inizi degli anni Trenta. Già nel periodo tra le due guerre, in epoca di nazionalismo trionfante, Drieu vedeva chiaramente e inesorabilmente che l’Europa doveva arrivare all’unità politica per non diventare satellite o peggio colonia degli Usa e dell’Urss. E quando all’alba del 1945 vide che quel sogno non era possibile, la disperazione lo avvolse: «Povera Europa sconvolta e perduta», scrisse nel suo diario, forse due giorni prima di uccidersi. Sono trascorsi settant’anni da quel momento: e l’Europa democratica liberale degli Schumann e degli Spaak non si è ancora vista.

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