Caso Cucchi, familiari e Procura generale ricorrono in Cassazione
La Procura generale di Roma e i familiari di Stefano Cucchi, il ragazzo romano morto in ospedale una settimana dopo il suo arresto per droga a Roma, hanno depositato il ricorso in Cassazione contro la sentenza con la quale i giudici d’appello hanno assolto sei medici, tre infermieri e tre agenti della polizia penitenziaria.
Caso Cucchi: «Sottostimate le lesioni»
Per il Pg nella sentenza «sono state scartate valide e probabili ipotesi di aggressione violenta, prospettando una possibile accidentalità dei fatti», nonostante «due delle tre ipotesi avanzate dalla perizia affermino una vera e propria aggressione fisica». In breve, sarebbe stato «sottostimato il significato, il valore e la gravità delle numerose lesioni sul corpo della vittima, giungendo a indicare l’azione che ha causato le lesioni come una semplice “spinta”, ed escludendo un’azione aggressiva condotta con maggiore intensità». Altro aspetto del processo sul quale s’incentra la procura generale è quello della causa di morte, sulla quale in sentenza si è ritenuto mancassero certezze. Tre le obiezioni della procura generale: «V’è da chiedersi in che misura l’asserita mancanza di certezze non dipenda dal comportamento gravemente negligente dei sanitari».
Familiari: «Omicidio preterintenzionale»
Dunque, trentuno pagine, tanti allegati e una schematizzazione degli argomenti compongono un atto processuale che arriva a una conclusione: la richiesta alla Cassazione di annullare la sentenza d’appello e il rinvio a un altro giudice per un nuovo processo. Tre i ricorsi proposti: uno a firma del Sostituto procuratore generale Mario Remus (che ha sostenuto l’accusa nel processo d’appello); un secondo del padre di Stefano, Giovanni Cucchi; un terzo, della sorella Ilaria anche nella qualità di esercente la potestà genitoriale sui due figli minorenni. Per l’accusa, Cucchi fu pestato violentemente nelle celle del tribunale, in ospedale furono ignorate le sue richieste e addirittura abbandonato e lasciato morire di fame e sete. In primo grado, la III Corte d’assise di Roma condannò i medici per omicidio colposo, assolvendo infermieri e agenti. In appello, giudizio ribaltato: tutti gli imputati assolti. Adesso, il deposito dei motivi di ricorso in Cassazione. «Difetti capitali nella formulazione dell’imputazione che avrebbe dovuto vedere il fatto qualificato come omicidio preterintenzionale» nei confronti dei tre agenti della polizia penitenziaria. Questo si legge nel ricorso per Cassazione presentato dai familiari di Stefano Cucchi nei confronti dei soli tre agenti penitenziari assolti in appello dall’accusa di lesioni. La famiglia, infatti, non si costituì in appello nei confronti di medici e infermieri, dopo un risarcimento da parte della struttura sanitaria, l’ospedale Pertini, dove Stefano fu ricoverato e nella quale morì.