Renzi provoca sulla Rai, Gasparri risponde. Ecco tutti i tweet al veleno

23 Feb 2015 12:21 - di Redazione

“Lite a distanza con Gasparri sulla Rai «Matteo è un dittatorello, finirà male». Sulla Stampa di Torino (pag.4), ma anche su tutti gli altri giornali, si ricostruisce lo scambio di accuse e di tweet al veleno tra il premier Matteo Renzi, che ospite della Annunziata aveva provocato Maurizio Gasparri («Una legge sulle tv non può portare il suo nome») e l’esponente di Forza Italia, concluso con il pesante giudizio di Gasparri: «Renzi è un dittatorello, è un arrogante, pensi al decreto sulle Popolari e a suo padre di cui deve vergognarsi…».

La raffica di tweet al veleno di Gasparri

“Matteo Renzi parla di televisione pubblica e lo fa alla mattinata Pd sulla scuola, per poi ripetere su Rai Tre da Lucia Annunziata. «La Rai non è il posto dove i singoli partiti vanno e mettono i loro personaggi, ma è un pezzo dell’identità culturale ed educativa del Paese. E allora non può essere disciplinata da una legge che si chiama Gasparri. Cambieremo questo». Apriti cielo. Anzi, apriti Twitter”, scrive la Stampa. Twitter s’infiamma. “Matteo Renzi è un vero imbecille”, scrive Gasparri. Ed ancora: “Matteo Renzi è di una abissale ignoranza, privo di basi culturali, solo chiacchiere, distintivo e insider trading”. “Sei davvero una persona spregevole, torna nella loggia del babbo”. “In quale loggia massonica di tuo padre ti hanno dettato le presunte norme per scuola e banche?”. “Alla Folletto – risponde a un utente – faceva lo sporco nel sacchetto”.

La solidarietà a Gasparri sulla Rai

«La Gasparri ha modernizzato il sistema radio-tv. La sinistra non è mai stata capace di nulla di simile», twitta Giovanni Toti. «Matteo Renzi spudorato, solito battutista, dimostra sua ignoranza e pochezza contenuti», gli fa eco Renato Brunetta. Sulla stessa linea Paolo Romani: «Oggi la Rai è una vera e propria industria culturale, che può produrre ancora di più, ma solo grazie alla legge Gasparri». «La riforma la fa il Parlamento e non Renzi», è la tesi del Movimento Cinque Stelle.

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