Kyenge “orango”. Il Pd prima vota contro il processo a Calderoli, poi fa retromarcia

7 Feb 2015 9:00 - di Adele Sirocchi

Il Pd cambia linea sul caso Kyenge-Calderoli. A 48 ore dalla decisione della giunta delle immunità del Senato che ha negato – anche con i voti dei parlamentari dem – l’autorizzazione a procedere contro Roberto Calderoli, che definì “un orango” l’ex ministro, il gruppo del Pd al Senato annuncia che in aula voterà a favore del processo per l’esponente leghista (che potrà contare però sul voto segreto). Era stata la stessa Cecile Kyenge a lamentarsi per il voto in giunta dei senatori del Pd: appresa la notizia della non perseguibilità – ha affermato – “sono stata sorpresa. Poi triste. Non per me. Vorrei uscire da questa logica perché non stiamo valutando Calderoli come persona. Io lui l’ho perdonato. Quello che bisogna capire è se queste parole possano essere usate in un dibattito politico normale o se siano semplicemente espressioni razziste”. Kyenge ha anche chiesto le scuse del gruppo del Pd.

Giovanardi: questione giuridica, non politica

Quel voto in difesa di Calderoli è stato poi giudicato a largo del Nazareno come un errore imbarazzante per il partito che avrebbe costretto il Pd alla retromarcia. Ne difende invece le ragioni tecnico-giuridiche il senatore Giovanardi (Ncd): “Nessun dubbio che l’infelice battuta del sen. Calderoli in una manifestazione della Lega nei confronti di Cecile Kienge sia stata offensiva e vergognosa: ma la parlamentare ex ministro non ha presentato una querela per diffamazione, senza la quale il reato non è perseguibile. Questi sono i termini giuridici sui quali si è basata la maggioranza della Giunta del Senato per decidere sulla insindacabilità delle affermazioni del vicepresidente del Senato Calderoli”.

Le scuse di Calderoli al ministro

Calderoli aveva pronunciato il deplorevole paragone  durante la festa della Lega a Treviglio nel luglio del 2013. Le polemiche erano subito divampate e Calderoli aveva telefonato all’allora ministro Kyenge per scusarsi. Il vicepresidente del Senato era stato dunque indagato dalla Procura di Bergamo per diffamazione aggravata dall’odio razziale in seguito a un esposto del Codacons, l’associazione dei consumatori.

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