Nella Cina rossa è Internet l’ultima frontiera della censura comunista
La Cina rossa abbatte su Internet l’ultima scure della censura comunista: e la piattaforma digitale, ridimensionata e resa decisamente meno appetibile da Pechino, costringe gli internauti del “Celeste Impero” a una ritirata globale. L’ultimo provvedimento riguarda blog, micro blog e le chat room, per i quali viene richiesto, d’ora in avanti, che l’utente si registri con il suo vero nome e prometta per iscritto di evitare qualunque commento o azione che possa sfidare o creare disagio al sistema del partito comunista.
La censura cinese colpisce la Rete
La nuova mannaia che, com’è ovvio, rende sempre più difficoltoso per gli utenti cinesi sorvegliati dal “Grande Fratello” di Pechino l’utilizzo degli strumenti che offre la Rete, sta notevolmente scoraggiando i “naviganti” a causa del faro di controllo puntato su di loro che rende la navigazione decisamente “a vista”. Tanto che, secondo i dati disponibili e resi noti dal Centro per l’informazione Internet cinese, già alla fine dello scorso anno il numero dei frequentatori di microblog era sceso a 249 milioni, registrando un calo del 7,1% rispetto al 2013.
Web, terreno minato e monitorato
La Cina ha tuttora il maggior numero di utenti di Internet al mondo (circa 649 milioni), ma le continue restrizioni imposte da Pechino stanno orientando il pubblico verso scelte diverse: dei 649 milioni di utenti totali della Rete, infatti, circa 557 accedono al web tramite dispositivi mobili, mentre vengono utilizzati sempre meno proprio i microblog. E se è vero che a dominare il mercato WeChat, prodotto del gigante della tecnologia cinese Tencent – che permette agli iscritti di scambiarsi foto, commenti, files, parlarsi, fare giochi – è una sorta di “Facebook cinese”, è altrettanto vero che i più popolari social network stranieri come Twitter, Facebook e siti come Youtube, in Cina sono vietati e quindi inaccessibili. E persino l’accesso a Google e ad alcuni dei suoi servizi sono stati bloccati.
La sovranità su Internet
Una condotta tipica del regime di Pechino, che le autorità cinesi hanno giustificato sostenendo di dover fronteggiare le numerose critiche sul loro operato mosse in tal senso da parte della comunità internazionale, tanto da essere stati costretti a introdurre il concetto di «sovranità su Internet» in base al quale, sostanzialmente, ogni paese avrebbe il diritto di controllare i materiali pubblicati on line all’interno dei propri confini. Non solo: l’amministrazione cinese per il cyberspazio, dal canto suo, ha osservato che le nuove regole che impongono, tra le altre cose, la registrazione degli utenti, hanno il fine di «combattere il caos generato dagli username»: Pechino ha tra l’altro specificato che molti utenti usano nick name inappropriati (molto diffusi anche Putin e Obama) promuovendo «la diffusione di una cultura volgare». Ma da quando, viene da chiedersi, la censura in Cina ha bisogno di scuse e spiegazioni?