Prodi o Amato al Quirinale. Il Pd ha finito le munizioni. Noi la pazienza

16 Apr 2013 9:42 - di Gennaro Malgieri

La partita per il Quirinale è saldamente (si fa per dire, visto il caos che lo domina) nelle incapaci mani del Partito democratico. E dopo gli ultimi concitati confronti (sarebbe meglio chiamarli scontri) che hanno lasciato sul campo morti e feriti, sembra che due candidati, nonostante tutto, rimangano in piedi. Dalla prevalenza dell’uno o dell’altro dipenderà il futuro della legislatura. Sono Romano Prodi e Giuliano Amato. Spieghiamo perché.

La rosa si è ristretta dopo l’aggressione di Renzi alla Finocchiaro e a Marini, mentre non vengono neppure presi in considerazione (ma non è detto che non rientrino in pista se dopo la terza votazione la situazione si complica) i vari Zagrebelsky, Rodotà, Onida o addirittura Violante (il più sgradito ai suoi). Prodi è voluto fortemente da Bersani, dai “giovani turchi” ormai attratti dalla “rivoluzione” neo-comunista di Fabrizio Barca, da Vendola, dai “grillini” (ma non tutti), e non è detto che alcuni di “Scelta civica” non sarebbero propensi a votarlo, pensiamo al capogruppo alla Camera Dellai e ad altri che hanno vissuto con qualche entusiasmo la stagione dell’Ulivo. Non ha i numeri per farcela con la maggioranza qualificata, ma con quella assoluta non ha ostacoli. Al momento – persistendo lo stallo – è il più accreditato.

Se Prodi dovesse andare al Colle, le elezioni sarebbero immediate. Infatti, darebbe l’incarico a Bersani, lo manderebbe davanti alle Camere dalle quali non otterrebbe la fiducia perché i “grillini” gli voterebbero contro comunque e lo stesso farebbero i montiani. Guiderebbe quindi  un governo di minoranza fino a giugno-luglio (è impensabile arrivare ad ottobre: glielo impedirebbe il Pdl) quando si rivoterebbe con il risultato al momento scontato della vittoria del Pdl. Ma  c’è  la “variabile” Renzi che se trascinasse tutto il partito al suo seguito potrebbe vincere, sia pure per pochi decimali ed al Senato non è detto che la non si riproponga la situazione attuale. E’ comunque difficile, dopo che il sindaco di Firenze ha “rottamato” chiunque gli capitasse a tiro, potersi proporre come candidato unitario. Renzi è un giovanotto dalla parlantina sciolta, ma sospettiamo che la sua intelligenza politica sia piuttosto rozza ed elementare: sopravvalutato per assenza di seri antagonisti, il suo vero avversario è se stesso. Dunque, Prodi al Quirinale ed elezioni subito.

La seconda ipotesi è più complessa. Trovare una convergenza su Giuliano Amato non è semplice. Potrebbero votarlo il Pd,  il Pdl, Scelta civica. In tal cao i democrat romperebbero con Sel, i berlusconiani con la Lega. Non sarebbero rotture insanabili, comunque, come hanno dichiarato gli stessi interessati. Di conseguenza il Pdl darebbe i suoi voti per far nascere un governo Bersani che non sarebbe di minoranza, ma neppure di legislatura. Semplicemente di “scopo”, come si dice. Trarrebbe il Paese dalle secche nelle quali si è arenato, metterebbe insieme qualche provvedimento in favore dell’economia, sbloccherebbe i debiti della Pubblica amministrazione in favore delle imprese, si applicherebbe a riformare la legge elettorale e staccherebbe la spina la prossima primavera, in concomitanza con le elezioni europee.

Si porrebbe comunque il problema della composizione dell’esecutivo. Posto che Bersani ha detto che con Gasparri e Brunetta non governerebbe mai, riteniamo che entrambi gli esponenti del Pdl – e con loro molti altri – mai accetterebbero di governare con Bersani e Fassina. Come si supera l’impasse? Davvero è credibile che Alfano possa fare da vice al segretario del Pd? Se ciò accadesse gli elettori farebbero saltare la baracca. Toccherebbe al capo dello Stato individuare un altro “governo del presidente” (e risiamo nell’anticamera del presidenzialismo surrettizio inaugurato da Napolitano) che non sia tecnico totalmente, ma abbastanza politico. Una specie di rompicapo, esercizio nel quale il dottor Sottile è maestro.

Se una delle due ipotesi è destinata a prendere corpo lo sapremo giovedì, fin dalla prima votazione. In caso contrario, attrezziamoci ad una lunga guerra di posizione che potrebbe durare – non si sa ovviamente con quali esiti – per molti giorni. E’ il brutto della Repubblica parlamentare. Volete mettere se avessimo una Repubblica presidenziale? Esaurito il primo turno, tra due giorni avremmo un inquilino del Quirinale in grado di nominare il governo in ventiquattr’ore e far ripartire la nazione. Oltretutto ci risparmieremmo i volgari mercanteggiamenti, gli insulti inaccettabili, i ricatti grossolani e l’instabilità che il mondo osserva incredulo e, forse, con pietà.

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