«Vi racconto la verità sulla Marcia attraverso i verbali del governo Facta»
A novant’anni dalla marcia su Roma e dall’ascesa al potere di Benito Mussolini, vede la luce una straordinaria documentazione che consente di leggere senza più equivoci, e in maniera definitiva, la vera storia dell’avvento del fascismo. Il merito va dato al volume che ha per titolo “Mussolini a pieni voti?” e per sottotitolo “Da Facta al Duce: inediti sulla crisi del 1922”, a cura di Aldo A. Mola, con la collaborazione di Aldo G. Ricci, edizioni del Capricorno, Torino. Chi è appassionato di storia conosce perfettamente il ruolo e le opere di Aldo A. Mola, curatore di un ampio progetto culturale voluto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Saluzzo, che si è già concretato con la scoperta e la pubblicazione di documenti che hanno consentito di conoscere tutto su un grande italiano: Giovanni Giolitti.
Ora, quest’opera – che ha appena visto la luce – è la prima di una serie che ha per titolo «Fonti per la storia d’Italia: i verbali dei Consigli dei Ministri». E proprio i verbali delle riunioni governative, a partire dall’ultimo governo Facta (dal 26 febbraio al 31 ottobre 1922) per terminare con il primo governo Mussolini (dal 31 ottobre al 31 dicembre 1922) sono il pezzo forte del volume: essi rappresentano una copiosa documentazione inedita sui motivi che portarono Vittorio Emanuele III a incaricare Mussolini di formare il governo. E ribaltano in maniera definitiva le accuse, rivolte da 90 anni a questa parte, a Re Vittorio Emanuele III, di avere aperto la strada alla dittatura fascista rifiutando di proclamare lo stato d’assedio. Scevro da pregiudizi, il volume non propone interpretazioni bensì documenti. A partire da telegrammi e dispacci dei ministeri dell’Interno e della Guerra. Una straordinaria documentazione che comprende i rapporti tra esercito e fascismo nel triennio 1919-22, a cura di Antonino Zarcone, e il ruolo della politica estera nell’ascesa al potere del fascismo, a cura di Gian Paolo Ferraioli.
Dunque, Mola, quale fu il ruolo di Mussolini in quell’ottobre 1922? Fu, la sua, una rivoluzione armata?
No. Mussolini parve l’unico capace di riportare in tempi brevi la crisi al vaglio delle Camere, chiudendo la breve parentesi extraparlamentare generata dall’indolenza del governo Facta. Mussolini rispose alle attese. Due settimane dopo il suo insediamento, presentò il governo alle Camere e ne ottenne la fiducia a larghissima maggioranza. Fu il Parlamento, e non lo squadrismo, a confermare che l’Italia aveva bisogno di un governo stabile e di provvedimenti energici per mettersi alle spalle tre anni di guerra civile strisciante e restaurare lo Stato uscito vittorioso dalla guerra mondiale.
Però la marcia su Roma vi fu
Il volume documenta che, a differenza di quanto si legge in molti manuali e si ripete anche all’estero, la marcia su Roma non avvenne il 28 ottobre, data canonica della celebrazione (o deprecazione) dell’ “avvento del fascismo” o dell’inizio del ventennio fascista. Anzi essa non vi fu affatto. Quando gli squadristi entrarono nella capitale, nella notte fra il 30 e il 31 ottobre, non lo fecero per espugnarla. La “marcia” si ridusse alla sfilata di reduci da una battaglia mai combattuta, mentre Mussolini era già insediato alla presidenza del Consiglio. Dopo la sbrigativa “foto ricordo” con i quadrumviri, il duce si dedicò subito a imparare in fretta il mestiere di ministro del re. Il giorno dopo aprì la seduta del governo dichiarando che entro ventiquattr’ore tutto sarebbe rientrato nella norma. Non vi fu alcuna marcia su Roma, se per tale s’intende l’assalto dei fascisti per imporsi sui poteri costituiti, né vi fu la resa dello Stato allo squadrismo.
Dunque, non è esatto affermare che il regime fascista ha una precisa data di nascita: il 28 ottobre 1922?
Il regime fascista non nacque il 28 né il 30-31 ottobre 1922. Il Parlamento ebbe altri 26 mesi per tornare alla normalità statutaria. Mussolini fece quanto gli venne consentito dalla sua audacia e dalla fortuna nonché dalla inconcludente cedevolezza delle opposizioni. La svolta verso il “partito unico” avverrà solo in seguito al suo discorso alla Camera del 3 gennaio 1925, il famoso discorso dell’«aula sorda e grigia, bivacco di manipoli».
Ciò era accaduto a seguito del ritiro delle opposizioni «sull’Aventino», ossia il loro rifiuto di proseguire l’attività politica in Parlamento. Ma tornando a Vittorio Emanuele III e al 28 ottobre, è dunque antistorico sostenere che vi fu un colpo di Stato?
Certamente. Quando, intorno al mezzogiorno del 29 ottobre, Vittorio Emanuele III incaricò Benito Mussolini di formare il governo, il Re non imboccò una via extraparlamentare o antiparlamentare. Per superare lo stallo politico, i suoi predecessori erano ricorsi più volte a militari. Lo avevano fatto Carlo Alberto con il generale Chiodo; Vittorio Emanuele II, che aveva nominato Alfonso La Marmora al posto di Cavour nel 1859 e di Minghetti nel 1864 e Luigi Federico Menabrea dopo Rattazzi nel 1867. Umberto I aveva incaricato Luigi Pelloux dopo il fallimentare V governo Rudinì nel giugno 1898. Però quei militari erano anche tutti deputati da lunga data e vennero scelti per riconciliazione e monito. Il 29 ottobre 1922 il Re conferì l’incarico a Mussolini perché, dopo le prime consultazioni e pur con qualche riserva, così gli venne raccomandato da tutte le personalità consultate.
Compreso Giolitti?
Sì, anche Giolitti avallò in pubblico l’operato di Vittorio Emanuele III e negò che il nuovo governo fosse frutto di un colpo di Stato (o di testa) del sovrano sotto l’incubo delle squadre fasciste. Anticipò la valutazione acquisita novant’anni dopo dalla storiografia: il fascismo e l’avvento di Mussolini non furono la causa ma il frutto della crisi. Il governo Mussolini non nacque dalla violenza né fu anticostituzionale. A meno di considerarne complici quanti poi gli votarono la fiducia: il Partito Popolare di Alcide De Gasperi e tutti i più prestigiosi esponenti dell’arco liberal-democratico-conservatore.