Tra Céline e Ftm sugli scaffali della libreria

9 Dic 2012 0:04 - di Adriano Scianca

Ftm e Lfc vanno alla guerra. Nel primo acronimo rimbomba tutta l’esplosività creatrice del miglior Novecento italiano, nel secondo la profondità tagliente dello sguardo letterario europeo che trapassa da parte a parte la modernità. Céline e Marinetti. È difficile immaginare due personalità più distanti fra loro, se non per due ovvi punti in comune: il fatto di aver rivoluzionato il modo di scrivere e fare letteratura nelle rispettive lingue, di aver sottoposto a violenza il linguaggio natio per distillarne anche una sola goccia di realtà; e la scelta di parteggiare per il fronte uscito sconfitto dalla Seconda guerra mondiale oltre ogni convenienza, oltre ogni freddoloso buonsenso. Ma per il resto, fin troppe sono le differenze umane e letterarie fra i due. Il loro approccio alla guerra non sembra fare eccezione: nichilista, anarchico, antimilitarista, ostile a retorica e gerarchia il francese; arcitaliano, guerrafondaio, sbruffone, nazionalista convinto il fondatore del futurismo. Due libri usciti di recente per i tipi della genovese “Associazione culturale Italia”, tuttavia, mostrano tutti i limiti di etichette frettolose e divisioni troppo schematiche. Parliamo de “Il poema africano della Divisione 28 Ottobre” di Marinetti stesso e di “La prima vita di Céline – Il corazziere a cavallo Louis Destouches nella prima guerra mondiale,” di Andrea Lombardi. Si tratta di due eleganti volumi, imperdibili per i collezionisti di testi non conformi: il primo, in edizione limitata a 120 copie, è stampato su carta di pregio e ripresenta il testo futurista del 1937, la cui prima edizione è rarissima e molto ricercata dagli appassionati. Il secondo, invece, è una vera chicca: stampato nell’inedito formato 9×12 cm è un librettino da leggere in un sol boccone e presenta il Céline che non ti aspetti. Il rapporto tra lo scrittore – o meglio: il corazziere a cavallo Destouches – e la Grande Guerra è in realtà complesso. Il libricino di Lombardi rende tutte le sfaccettature contraddittorie del prisma céliniano. Per metterle tutte a fuoco e ottenere di nuovo l’unità dell’immagine serve un salto di qualità mentale. La rilettura a posteriori data dallo stesso scrittore è nota: arruolamento per “un colpo di testa”, scontro con la dura realtà dell’insensato carnaio bellico, maturazione di un convinto pacifismo. La realtà è tuttavia diversa. Stupisce, per esempio, leggere le lettere ai genitori del futuro autore del “Voyage”, nelle quali traspaiono uno stile e un contenuto assolutamente inediti per la corrosiva penna che partorirà i pamphlet che incendieranno la cultura europea. “Quanto a me farò il mio dovere sino in fondo e se per fatalità non dovessi tornare… siate sicuri per attenuare la vostra sofferenza che muoio contento, e ringraziandovi dal profondo del cuore”, scrive il soldato Destouches poco dopo l’arruolamento. Volontario, e per più di una guerra, fu anche Marinetti. Scritto “sotto il fuoco di molte mitragliatrici abissine imprecise”, il Poema africano della Divisione “28 Ottobre” racconta di alcune battaglie campali combattute dalla speciale divisione della Milizia con la quale si arruolò lo scrittore. Come scrive Pierluigi Romeo di Colloredo nel saggio storico in appendice, il poema non è solo un’opera letteraria, ma è allo stesso tempo documento autobiografico, testimonianza diretta e memoria storica della partecipazione delle camicie nere alla guerra d’Etiopia. Marinetti narra con precisione aneddoti, fatti di cui è testimone e protagonista diretto, riportando documenti, bollettini e comunicati. Anche Céline si ritroverà poi a descrivere la sua esperienza di guerra, ma con accenti decisamente meno entusiasti. L’impatto con la routine delle retrovie e poi con i massacri della prima linea, infatti, stempererà molto lo slancio patriottico iniziale del soldato Destouches. Memorabile il racconto di quel borioso ufficiale in grado di chiamare per nome ogni singolo cavallo ma incapace di ricordarsi l’identità dei suoi soldati. E che dire del surreale aneddoto sull’equino rubato al milite inglese mentre questi era stato sorpreso da un impellente richiamo della natura dietro a un cespuglio. Céline definitivamente convertito al cinismo antiretorico? Sembrerebbe di sì. Eppure si tratta dello stesso soldato che si offre volontario per una missione suicida: assicurare il collegamento tra il 125° e il 66° reggimento di fanteria sotto il fuoco dell’artiglieria tedesca. Ferito al braccio (sarà dichiarato invalido al 70%), otterrà la medaglia militare e la croce di guerra con stella d’argento. Ma già in precedenza, in un’altra azione eroica, il maréchal Destouches si era distinto per aver salvato la vita a un proprio commilitone. Della medaglia, così come delle ferite riportate, “l’antimilitarista” Céline andrà orgoglioso per tutta la vita, anche se di sé preferirà sempre dare l’immagine del misantropo randagio e individualista, tacendo anche della sua opera di medico dei poveri, così preziosa fra gli sbandati a cui amava somigliare. Salvare le vite altrui era un destino, ma che non lo si sapesse in giro: gli avrebbe rovinato la reputazione. Anche Marinetti, in Africa, si guadagnò una medaglia di bronzo al valore militare per aver combattuto in prima linea nelle “Termopili del fascismo” di Passo Uarieu. Nel suo caso, tuttavia, era la terza decorazione: la prima l’aveva ottenuta sul monte Kuk, la seconda a Vittorio Veneto, entrambe durante la Grande guerra. Gente per cui rischiare la morte era norma etica quotidiana e scrivere libri solo la conseguenza di un esubero di vita. Girando per le librerie e vedendo le facce degli scrittori di oggi, invece, un dolore sordo ti avvolge il cuore. E non perché non ce ne siano di bravi. Solo che nessuno fra loro, alle obiezioni di rito nella tribù dei letterati, potrebbe replicare come Ftm: “Se sbaglio perdonatemi, vengo dal Tembien”.

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