Ma la vera campagna è quella contro la povertà
All’approssimarsi di un difficilissimo Natale credo sia opportuno far notare che la vera battaglia alla quale si stanno apprestando i partiti, vecchi e nuovi, è quella contro l’impoverimento dell’Italia dal 2013 in poi, non la campagna elettorale. Il rischio povertà o esclusione sociale nel 2011 è aumentato, arrivando a sfiorare il 30 per cento, più che negli altri Paesi europei. Il dato allarmante rappresenta solo una parte del quadro che emerge dall’annuario dell’Istat e dal rapporto sulla coesione sociale di Istat, Inps e Ministero del Lavoro. Il resto non è meno grave: i trentenni in stallo nella ricerca di un’occupazione, l’impossibilità di “salire di livello” se si parte dai gradini più bassi della società, un milione di disoccupati che ha meno di 35 anni. Senza dimenticare i consumi che restano al palo e il peggioramento della situazione economica delle famiglie che nel 2012 è sensibilmente peggiorata rispetto al 2011, una tendenza che non risparmia nessuno: né il Nord né il Centro, tanto meno il Mezzogiorno. Alla luce di questi dati, una domanda è a obbligatoria per chi fa sindacato: come si pensa di poter fare fronte a tali enormi problemi mentre il Paese non riesce a crescere e sapendo anche che con il fiscal compact l’Italia dovrà sopportare un tremendo salasso per i prossimi venti anni per ripianare il gigantesco debito pubblico? Qualcuno potrà rispondere innescando un “movimento” di crescita e di sviluppo, è possibile un alleggerimento degli impegni accettati firmando quell’accordo. Ma per ora crescita e sviluppo restano due belle intenzioni.
E quindi viene da sé ancora un’altra domanda: nel frattempo, cioè nell’attesa che l’Italia inizi a ripartire, a quali categorie di persone saranno chiesti i maggiori sacrifici? Come si pensa di poter compensare a favore del ceto medio-basso la pressione esercitata dal fisco, dalle tariffe, dal taglio ai servizi, alla sanità, alla scuola, alla sicurezza? E abbiamo elencato solo alcuni dei punti più dolenti nella vita quotidiana di operai, impiegati, pensionati e famiglie. Non è vero che garantire servizi e assistenza al nucleo più sano e più tenace della società, che ha impedito all’Italia e in particolare al Sud di sprofondare sotto i colpi di un’interminabile crisi e dei sacrifici che sono stati adottati per superarla, debba essere necessariamente un costo. Come dal nostro punto di vista non sono solamente un costo gli ammortizzatori sociali destinati ai dipendenti delle aziende in crisi o a rischio chiusura. Se è vero, come è vero, che le famiglie hanno aiutato l’Italia a restare in piedi fino ad oggi; se è vero, come è vero, che grazie ai lavoratori dipendenti, privati e pubblici, agli operai e agli impiegati lo Stato può contare almeno su un certo quantitativo di entrate certe, bisogna ripartire e immaginare un nuovo Paese proprio mettendo al centro della crescita e dello sviluppo queste categorie e il loro benessere. Come possiamo immaginare infatti di onorare gli impegni che l’Italia si è assunta con l’Europa e contemporaneamente di far ripartire un mercato fermo, o con nuovi acquisti o con la nascita di nuove attività, se aumenta la possibilità di perdere un lavoro, se gli ammortizzatori sociali si restringono, se non si riesce a fare incontrare domanda e offerta di lavoro, se l’istruzione e la formazione ancora non sono in linea con le esigenze del mondo produttivo, se per mantenere una casa, l’unica, diventerà impossibile onorare altri impegni? Ovviamente si tratta di domande retoriche. Siamo convinti infatti che la perdita di lavoro di un singolo come di un gruppo di persone rappresenti una perdita e un impoverimento per lo Stato. Siamo convinti che la mancanza di sostanze economiche renda ancora più difficile la solidarietà e la coesione di un Paese. Ciò non vuol dire che lo Stato debba farsi carico di tutto o che sia obbligato in eterno a mantenere di propria tasca lavoratori di aziende decotte. Significa semplicemente che quelle garanzie poste a difesa del lavoro o dei lavoratori devono essere considerate garanzie poste a difesa dello stesso Stato. Vorrei poter dire a tutti i partiti, vecchi e nuovi, di non dimenticare che operai, impiegati, pensionati e famiglie sono il Paese e ciò che lo rendono vivo, sano. Se questa convinzione riuscisse ad entrare nella mente di chi in futuro ci governerà, potremmo sperare nel 2013 di vivere un Natale meno triste e meno difficile di quello che ci accingiamo a celebrare.