Un saluto al fascismo che se ne va, non a uno che torna
E non poteva mancare la denuncia per “apologia di fascismo” dopo i funerali di Pino Rauti e i saluti romani di molti dei partecipanti. Un atto di omaggio che, nel caso di Rauti, si comprende bene: il leader scomparso infatti aveva aderito alla Rsi, non aveva mai rinnegato le sue origini, è stato segretario del Msi. Chi ha ritenuto di salutarlo in quel modo non lo ha fatto certo perché intendeva restaurare il disciolto partito fascista ma perché in quel contesto, e vista l’identità ben precisa di Rauti, si è ritenuto quasi naturale quell’atto di omaggio. Un’azione che non è fondativa di iniziative politiche, che non rifonda alcun partito fascista, ma che si “conclude” nello spazio del funerale. Eppure un giornalista di Ancona, Sergio Sinigaglia, un passato in Lotta Continua, ha pensato di presentare un esposto contro ignoti per le immagini di quei saluti romani ai quali, ha detto, «non si può assistere passivi». Il suo è invece un atto politico, con il quale Sinigaglia intende denunciare il fatto che si va sbiadendo il valore dell’antifascismo, anche grazie al revisionismo introdotto dai «libri di Pansa, discutibili fiction e sdoganamenti vari». Stupisce questo gesto di livore verso un politico come Pino Rauti, che predicava ai giovani l’apertura al nuovo, il confronto con gli avversari, l’accettazione delle sfide della contemporaneità. Un politico che non esitava a mettersi in discussione, come si evince dall’intervista rilasciata a Giampiero Mughini su “Panorama” dopo il congresso di Sorrento (in cui Fini prevalse per pochi voti su Rauti). Gli chiede Mughini: «Il Rauti di oggi come giudica il Rauti di trent’anni fa, il Rauti che nel 1956 uscì dal Msi e fondò il gruppo estremista di “Ordine nuovo”?». Risposta: «Come uno che era un estremista nelle tesi e nelle idee, e che giovanilmente non teneva presente che le idee possono pesare come pietre. Come uno che non si rendeva conto che in Europa era in atto una sorta di mutazione antropologica che rendeva impossibile il ricorso alle precedenti esperienze, quella fascista e quella nazista».
Eppure Sinigaglia, non tenendo conto di tutto ciò, resta fermo alla contrapposizione fascismo-antifascismo, scorgendo in un funerale i segnali di un pericoloso ritorno dei “germi” del Ventennio. «Non crede – gli abbiamo chiesto – che questa sua iniziativa sia utile solo a rinfocolare odi che dovremmo lasciarci tutti alle spalle?». «No, superare l’odio per l’avversario si può e si deve, infatti io non avrei parlato con il Secolo d’Italia venti anni fa, ma non riconosco alcuna ragione nell’altra parte, o meglio posso approfondire, studiare, ma non comprendere». «Lei non crede nella pacificazione?». Sinigaglia dice di crederci, ma non poi così tanto: «Se la pacificazione avviene attraverso la rimozione, no». In pratica, per pacificare le contrapposizioni del Novecento, dovremmo essere tutti uguali e anche ignorare che il fascismo è finito nel 1945. «E poi scusi, perché ce l’ha con i libri di Pansa? Non ha scritto il vero sulle stragi compiute dai partigiani?». «Guardi che anche io ho fatto un processo di revisione della mia storia, ma Pansa è andato oltre, ha svilito la Resistenza». «Però se lei saluta col pugno chiuso un vecchio compagno che muore, io non la denuncio…». «Che c’entra, il saluto col pugno chiuso non è un reato…». L’antifascismo per Sinigaglia resta insomma un valore fondante, anche se ha bloccato il paese in una contrapposizione paralizzante. «Ma lei davvero pensa che esista in Italia un pericolo fascista?». «Certo, esiste in forma minoritaria ma esiste, poi che c’entra, anche uno di Rifondazione comunista può essere fascista se se la prende con gli immigrati». Assolutizzare il fascismo, il miglior modo per non consegnarlo alla storia. Per questo, chi lo fa, teme i saluti romani a un funerale e si rifiuta di vedere in Pino Rauti i tanti elementi di discontinuità con il passato che lo rendevano così diverso dal nostalgismo d’accatto. «Scusi, lei lo sa che Pino Rauti è stato assolto dalle accuse di strage, che non hanno trovato mai nulla?». «Lo so, lo so». E allora? «E allora i saluti romani non si possono fare». In realtà, prima di pacificare il confronto tra le opposte fazioni, occorrerebbe fare pace con le proprie paure, con i fantasmi del passato e non lanciare contro la legittima commozione del popolo della destra il peso dei propri, rassicuranti, pregiudizi.