Tocca alla politica spiegare la modernizzazione
Milano-Roma in tre ore. Torino-Milano in 45 minuti. Un sogno sino a qualche anno fa. Una realtà oggi. Con buona pace dei passatisti, dei bucolici e dei fans del trasporto su gomma, le Frecce Rosse e i convogli di Ntv ogni giorno spostano decine di migliaia di persone. Un segmento d’Italia si muove, velocemente, con comodità e rapidità e con un impatto ambientale (i dati, solidi nella loro ardità, parlano chiaro) assolutamente limitato. Giorno dopo giorno, l’Alta Velocità ferroviaria si conferma un fattore decisivo (e positivo) per il “sistema Italia”. Eppure, nonostante cifre, studi, proiezioni, la modernizzazione infrastrutturale della Nazione rimane un tema difficile, controverso. A volte imbarazzante. Nulla di strano. Dai tempi della ierocrazia romana a oggi ogni binario, ogni strada, ogni banchina, ogni aeroporto ha il suo contestatore. In nome (ieri) del Papa Re, oggi nel segno dell’ambiente (?), della democrazia (??), della rivoluzione (???). Stupidaggini, ubbie, angosce irrisolte coniugate a solidi interessi locali e ricatti (vedi la tragicommedia dell’autostrada Salerno-Reggio o il dramma del porto di Gioia Tauro) della criminalità organizzata. Ovviamente, dietro ad ogni contestazione (anche onesta e virtuosa…) vi è “qualcuno” d’importante che annuisce e sorride e, guarda caso, quel “qualcuno” è sempre straniero, per nulla dispiaciuto dei tanti, troppi ritardi italiani.
Il caso Malpensa è indicativo: come ricordano le indagini della magistratura, a sostenere la battaglia dei comitati e dei Comuni varesini contro l’ampliamento dell’hub lombardo (un dato strategico, podromico al rilancio o all’inabissamento della compagnia di bandiera) vi erano anche i principali concorrenti europei di Alitalia… Nulla di nuovo. Il Pci togliattiano — progetto molto più serio e importante dei rottami dell’Autonomia post-negriana — contestava nei Sessanta la costruzione della metropolitana milanese (“giocattolo dei ricchi”, vedi “l’Unità” del 1964) e l’ala dossettiana della Democrazia Cristiana — un laboratorio culturale decisamente superiore agli odierni circoli neoluddisti post marxisti o ai gruppi localisti e reazionari che continuano ad affliggerci — si opponeva alla realizzazione dell’Autostrada del Sole e (con l’appoggio di La Malfa senior) alla televisione a colori. Nulla di scandaloso. Da sempre vi è un’Italia di inventori, di sognatori e di costruttori (magari un po’ folli ma simpatici) e un’Italia piccina, timorosa e rannicchiata. Vecchia. Marinetti lo aveva ben compreso e, con la sua poesia, ci ha avvertito a diffidare dai “custodi dei musei”, dei nostalgici del “chiaro di luna”.
Vano, inutile è però limitarsi a condannare da comode tribune giornalistiche o parlamentari le infiltrazioni dei rottami del massimalismo nostrano in Val di Susa; sbagliato e, soprattutto, stupido invocare i manganelli dei celerini contro le annunciate resistenze ai binari nel Triveneto o sulla dorsale adriatica. Certo, la sinistra più estrema e perdente cerca nella battaglia anti-Tav un fattore mobilitante, un simbolo unificante, certo l’opposizione violenta e ottusa ad ogni progetto importante preoccupa e inquieta, ma da questo pantano non si esce con i lacrimogeni e i blindati, gli arresti e le perquisizioni. Il nodo — con buona pace degli apologeti della Celere — è molto più intricato e complesso. Il problema è principalmente politico e culturale.
Oggi più di ieri, accanto all’opera di prevenzione e controllo delle forze dell’ordine, è necessario, urgente recuperare il ruolo e il senso alto della Politica. È compito degli attuali gruppi dirigenti locali e nazionali, di destra e di sinistra (considerato il problema, poco importa la collocazione) di riallacciare in modo nuovo e innovativo il rapporto con il territorio per spiegare, convincere, mediare quanto serve, e infine decidere. L’esempio della Svizzera — una democrazia matura — che sottopose più di vent’anni fa il piano dei trasporti nazionale — un investimento colossale per un’opera avveniristica e oggi quasi conclusa — al voto popolare, deve farci riflettere. Tocca perciò agli eletti (ri)trovare la capacità e l’umiltà di fornire risposte chiare, prospettive nette e comprensibili ai cittadini. Tocca ai partiti — o almeno ciò che ne rimane — assumersi la responsabilità di trasformare la questione della modernizzazione (Alta Velocità ma non solo) in un punto centrale del dibattito nazionale. Tocca alla Politica, con la forza delle idee, sottrarre ai demagoghi e ai lunatici il dibattito sul futuro del “sistema Italia” e rintuzzare l’invasività di vicini troppo potenti e poco amichevoli. Un compito arduo e scomodo, ma obbligato.