Il decreto incandidabilità? Solo uno spot
La fiera dell’ipocrisia. Il governo tecnico, alla perenne ricerca di provvedimenti che si prestino a diventare spot pubblicitari – un po’ come accaduto con il Salva-Italia e il Cresci-Italia, la luce in fondo al tunnel e l’immagine riconquistata dalle Alpi alle Piramidi – gioca la carta delle incandidabilità, così da cavalcare la tigre dell’antipolitica. Al di là delle valutazioni sul testo – la Cancellieri ha fatto sapere che in settimana si chiuderà il cerchio grazie al lavoro degli uffici tecnici – a lasciare perplessi è il modo in cui lo si presenta. Sembra la panacea di tutti i mali: la politica, come d’incanto, si ripulisce e ridiventa vergine grazie al fatto che non potrà essere presente in lista chi ha avuto condanne superiori a due anni. Si individuano già i capri espiatori: un pugno di vittime da sacrificare sull’altare del populismo demagogico. E i partiti, specialmente del centrosinistra, aggiungono postille (“vanno cacciati anche quelli condannati in primo grado”). E chissenefrega della Costituzione. Poniamoci alcune domande: quante sentenze di primo grado sono state ribaltate in appello? I vari Fiorito e Lusi avevano condanne nel loro curriculum giudiziario? No, eppure hanno fatto quel che tutti sappiamo. Entrambi – sulla base del provvedimento del governo – sarebbero entrati senza problemi nelle liste, a danno di chi invece – magari condannato in un passato lontano – ha avuto in seguito una vita irreprensibile. Appare già eviente a tutti che l’applicazione del decreto governativo sulle incandidabilità lascerà delusi. Non ci sarà nessun ripulisti, nessun rinnovamento. E i milioni di italiani che sono stati alimentati con l’aspettativa di vedere gli ex-potenti sulla ghigliottina, resteranno a bocca asciutta. Il governo, in qualche modo, farà quello che ha fatto dal suo insediamento: creare aspettative, deluderle e poi dire “non è colpa nostra, ma dei partiti…”. Come con la riforma del lavoro.