Di Pietro e la sindrome del brutto anatroccolo
La solitudine è la sorte degli spiriti grandi. Antonio Di Pietro cerca di rincuorarsi con le parole di Schopenhauer ma è un brutto momento, non solo perché il suo partito perde pezzi su pezzi e neppure perché l’ex pm è diventato uno dei bersagli preferiti su facebook dopo “Report” e la storia delle case. Il problema principale è che le elezioni politiche si avvicinano e Di Pietro non ha uno straccio d’intesa. In linea teorica ha un patto con il Pd e con Vendola, ma rischia rimanerne tritato, di essere l’anello debole, quello che non supererebbe neppure la soglia di sbarramento e che quindi sarebbe costretto a elemosinare posti. Lui cerca di sdrammatizzare: «Con Grillo ci facciamo delle fantastiche risate quando leggiamo notizie su fantomatiche alleanze tra noi», racconta Di Pietro, sapendo che ha poco da ridere, i Cinquestelle potevano essere gli interlocutori e ma il tentativo di stringerli in un abbraccio è fallito. Allora l’ex pm sgomita, scrive, plaude a chiunque, persino alla Cgil per ribadire il suo sostegno «alla manifestazione in difesa della scuola pubblica». E i suoi vecchi compagni di partito che gli hanno detto addio? Traditori: «Nel momento in cui bisogna scegliere tra la coerenza e l’opportunità di trovare una sistemazione personale si vede chi fa politica per interessi propri e chi per gli interessi dei cittadini». Poi torna a Grillo: «Non facciamo alleanze per rispetto alla sua decisione di andare da solo». In sostanza, gli hanno sbattuto la porta in faccia. Meglio rincuorarsi con Schopenhauer, guardarsi allo specchio e chiedere chi è il più bello del reame.