Alta tensione all’Ilva: domani il governo decide

28 Nov 2012 0:03 - di Sandro Forte

Resta altissima la tensione a Taranto dopo la decisione dell’Ilva di chiudere gli stabilimenti e lasciare a casa cinquemila dipendenti in risposta all’iniziativa della magistratura che lunedì ha ordinato l’arresto di sette persone ma soprattutto il sequestro dei prodotti finiti e semilavorati. Gli uffici della direzione sono stati occupati ieri mattina da centinaia di operai dopo la proclamazione dello sciopero. Gli operai, dopo aver organizzato un corteo interno al quale hanno partecipato sia quelli impiegati nell’area a caldo sia quelli dell’area a freddo, hanno occupato di fatto tutta la palazzina che ospita la direzione dello stabilimento. «Non hanno voluto trovare una soluzione, governo e azienda continuano ad usarci – hanno lamentato alcuni di loro – e a rimetterci siamo soltanto noi e questa città. Così non può continuare. Cosa accadrà? Non lo sa nessuno, qui si naviga a vista». A Genova i metalmeccanici dello stabilimento Ilva hanno bloccato il casello autostradale di Genova ovest per poi riunirsi in assemblea permanente nella sala mensa.
L’Ilva, dal canto suo, ha avviato al Tribunale del Riesame il ricorso contro l’ultimo intervento della magistratura: fino al suo pronunciamento gli impianti di Taranto rimarranno chiusi. «Spero in un pronunciamento rapido, entro pochi giorni», ha spiegato il presidente dell’Ilva, Bruno Ferrante, che ha aggiunto: «Non mi aspettavo un intervento» della magistratura «di questo tipo: che vi fosse una produzione era risaputo a tutti. Il governo ha avuto grande attenzione e dall’incontro di giovedì spero vengano passi avanti». Parole incoraggianti dal ministro dell’Ambiente, Corrado Clini: «Quello di giovedì non sarà un incontro interlocutorio. Contiamo di uscire con un provvedimento, lavoriamo a un decreto per l’applicazione dell’Aia, unica strada per il risanamento». Anche perché, secondo il ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri, esiste «un rischio notevole» di problemi per l’ordine pubblico. «La situazione è molto preoccupante – ha detto – perché i posti di lavoro messi in discussione sono tantissimi, non sono solo quelli di Taranto ma riguarda anche l’indotto».
Per quanto riguarda l’inchiesta giudiziaria, sono almeno cinque, oltre a quelle indicate nelle ordinanze di custodia cautelare eseguite lunedì, le persone indagate. Tra queste ci sono don Marco Gerardo, il segretario dell’ex arcivescovo di Taranto monsignor
Benigno Luigi Papa, e il sindaco di Taranto Ippazio Stefano. Il sacerdote è sospettato di false dichiarazioni al pubblico ministero in relazione alla presunta tangente di 10mila euro che l’ex responsabile dei rapporti istituzionali dell’Ilva Girolamo Archinà, arrestato lunedì, avrebbe consegnato al consulente del Tribunale nonché ex preside del Politecnico di Taranto Lorenzo Liberti per “addomesticare” una perizia sulle fonti di inquinamento. Archinà aveva riferito agli inquirenti che quella somma, prelevata dalla cassa aziendale, non era destinata a Liberti ma si trattava di una elargizione alla curia tarantina. Il sindaco di Taranto è indagato per omissioni in atti d’ufficio in relazione alle prescrizioni a tutela dell’ambiente cittadino. La sua iscrizione nel registro degli indagati sarebbe un atto dovuto derivante dalla denuncia di un consigliere comunale, Filippo Condemi. Tra i cinque ulteriori indagati c’è anche un poliziotto: Cataldo De Michele, ispettore in servizio alla Digos della questura di Taranto. L’ipotesi di reato sarebbe quella di rivelazione di segreti d’ufficio.
Frattanto la Procura di Taranto ha delegato la Guardia di Finanza ad eseguire accertamenti a Bari e a Roma in relazione al via libera alla vecchia Autorizzazione integrata ambientale (Aia) rilasciata il 4 agosto 2011 all’Ilva di Taranto, poi riesaminata e approvata alcune settimane fa. Nelle oltre 500 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Patrizia Todisco numerose pagine, contenenti anche intercettazioni telefoniche, sono dedicate a dialoghi con funzionari regionali sulle prescrizioni ambientali che l’Ilva avrebbe dovuto rispettare, poi confluite nella vecchia Aia.

Commenti