Un popolo alla ricerca del suo partito
Chiariamoci alcuni punti. Il Pdl cambierà nome, simbolo e forse composizione non perché stia esplodendo, bensì perché ci sono delle necessità tecniche, legali e anche amministrative che impongono la chiusura di questa organizzazione. Che nacque, vale la pena di ricordarlo, non dal nulla, ma come completamento di un percorso che aveva manifestato il crescere e l’affermarsi di una identità diffusa nella maggioranza del popolo italiano, che per comodità è stato chiamato il popolo del centrodestra. Un percorso che prese l’avvio il 2 dicembre del 2006 a Roma, con una manifestazione oceanica della Casa delle libertà, con una partecipazione che oltrepassò di gran lunga le previsioni e le capacità di mobilitazione di quelli che allora ne erano i quattro leader. In politica l’insieme è sempre molto più grande della somma delle sue parti. E questo dovrebbe chiudere ogni discussione su spacchettamenti e frammentazioni. Il Pdl nacque come contenitore o recinto allargato nel quale potessero riconoscersi quasi la metà degli italiani. Ma nacque anche da degli uomini, che ne determinarono gli assetti a propria tutela e immagine. Il Pdl si scioglie già il 14 dicembre del 2010, con uno dei suoi genitori che cerca di affogare la creatura nella vasca da bagno. Quel giorno, con Fini che cerca di abbattere il proprio governo col voto di sfiducia, i mercati che sferrano l’attacco speculativo all’Italia e i gruppi paramilitari comunisti che contemporaneamente scatenano la guerriglia a Roma, l’esperimento maggioritario del Pdl si è concluso. Berlusconi ha avuto la volontà di resistere agli attacchi un altro anno, non potendo però – o non volendo – investire sul partito. Ma il Pdl, come organizzazione, non era mai nata. Non c’erano regole, disciplina, coordinamento, selezione della classe dirigente secondo una scala di valori condivisa e meriti oggettivi. Un partito senza questi elementi non è un movimento, è un’orda. Un’orda dove tutti si impegnano solo nel tentativo di attirare lo sguardo del capo e ottenere i suoi favori. Con qualunque mezzo. Così è inevitabile che i cortigiani comandino più dei generali. E alla prima sconfitta l’esercito si sfalda e scappano tutti a casa. Eppure oggi il Pdl, nel suo momento più basso, continua a raccogliere una stoica intenzione di voto che non va al di sotto del 15%, cioè tra i tre e i quattro milioni di elettori. Ha ancora decine di migliaia di eletti, rappresentanti, militanti fedeli che non sono disposti ad ammainare la bandiera infangata da dieci o cento gaglioffi. Non più quindi un partito a vocazione maggioritaria, liquido e quasi plebiscitario. Ma un movimento vero, radicato, orgoglioso. La realtà è questa. Una realtà di milioni di uomini e donne, non un giocattolo che siccome ha perso la vernice può essere gettato e sostituito con uno può bello. Del nome e del simbolo chi se ne frega. C’è un popolo al suo interno e uno, molto più grande, che aspetta di essere ri-convinto che ha una casa. Berlusconi lo sa. E sa che un uomo non è una Patria e che una vita non è una storia. E Berlusconi è un uomo responsabile.