Tutti in ginocchio da Sua Sobrietà, ma salta il processo di beatificazione

3 Ott 2012 20:16 - di

Pronunci il nome di Monti e cominciano i guai. Perché una cosa è disegnare scenari fantasmagorici per la prossima legislatura con la sua presenza, fisica o virtuale non importa. E un’altra è passare al concreto, quando ci si scontra con la volontà degli iscritti al partito e la rabbia dei sindacati. Bersani è in difficoltà, è costretto a prendere le distanze dal Professore, invoca un «ritorno alla normalità», perché «il nostro Paese non è figlio di un Dio minore ma della democrazia europee». Se n’è accorto tardi, dopo essere stato uno dei protagonisti del cosiddetto “golpe istituzionale” che ha appunto sospeso la democrazia. Una mossa prevedibile, perché il suo ex ipotetico alleato (Casini) si è rituffato in un terzopolismo riveduto e corretto, si è inginocchiato davanti a sua santità Monti e ha fatto saltare il tavolo. In più, emergono forti distinguo a livello imprenditoriale, proprio laddove sembrava potesse chiudersi il cerchio con l’intesa sinistra-centro-imprese. E nel Pd si riaprono vecchie ferite e nuovi scontri: Vendola prende le distanze da quella che viene chiamata “agenda Monti” ed Enrico Letta gli dà subito l’altolà: «Con queste premesse il nostro comune viaggio rischia di non iniziare nemmeno – afferma – il leader di Sel sappia che noi non faremo nessun passo indietro rispetto alle riforme di questo esecutivo». Il tutto mentre continua il processo di beatificazione da parte di futuri terzopolisti. Benedetto Della Vedova, capogruppo di Fli alla Camera, arriva ad affermare: «Di tutti i premier che ho conosciuto, quello in cui mi riconosco di più è Monti». Non si capisce il perché, ma non importa. Dirlo fa gioco. Tutto qui? No, Della Vedova scommette sul nome del prossimo premier: sarà Monti. E Veltroni, tanto per agitare ancora di più le acque nel Pd, fa sapere: «Bisogna creare la condizione di un grande schieramento riformista che non solo assuma l’agenda Monti, perché non basta, ma apra una riflessione più grande. Si può fare con Monti? Se è disponibile, lui è una risorsa e una ricchezza per il Paese. Le forme si definiranno senza premettere i nomi alle cose». Parole che vanno nella direzione opposta rispetto a quella indicata da Bersani. Chi di Monti ferisce, di Monti perisce.

Le mosse del premier
Si muove anche il Professore, non si sa se per sostenere l’attuale esecutivo o per porre le premesse per quello futuro a cui molti lo vogliono candidato obbligato. Ieri ha visto Bersani, nei prossimi giorni incontrerà Angelino Alfano e Pier Ferdinando Casini. E, intanto, oggi dovrebbero finalmente arrivare in Consiglio dei ministri i provvedimenti in materia di sviluppo e sui tagli ai costi della politica. Si vedrà che cosa verrà fuori. Ma il tutto minaccia di esaurirsi nell’ennesima cortina fumogena. Dopo dieci mesi di governo tecnico, le tante manovre varate e i costi pagati dai cittadini i soli numeri che crescono sono quelli del debito, della cassa integrazione, delle tasse e della disoccupazione. Sull’altro versante, lo sviluppo economico è ormai abbondantemente sotto zero, i consumi in flessione e la capacità di spesa delle famiglie ridotta al lumicino. Così anche chi un anno fa aveva fatto di tutto per mandare via Berlusconi da Palazzo Chigi comincia ad avere qualche dubbio.

I sindacalisti si agitano
Susanna Camusso chiede che le tanto annunciate misure per lo sviluppo, se ci saranno, prevedano una nuova politica industriale e siano tali da «permettere di investire sul lavoro e di creare lavoro». Ma lo si potrà fare? Al punto in cui sono giunte le cose sarà molto difficile. Le banche non fanno credito, né agli imprenditori, né alle famiglie. Nell’ultimo anno siamo andati avanti intaccando il capitale: non abbiamo privatizzato nulla, abbiamo mantenuto il debito e la spesa pubblica improduttiva a livelli proibitivi e, con la recessione, abbiamo ridotto la torta a disposizione, proprio mentre con il fiscal compact ci siamo impegnati a abbattere il nostro debito di qualche cosa come 50 miliardi l’anno. Si potrà fare? È escluso. A meno che la nostra economia non riprenda a crescere. E non lo farà se non gli verranno dati gli imput necessari.

Cambio di marcia
Il governo deve avere quindi il coraggio di effettuare un cambio di marcia di 180 gradi. Perché, dice la Corte dei Conti, senza incidere sul sommerso e sul reddito evaso sarà difficile recuperare le risorse necessarie per avviare la ripresa. Il percorso è tortuoso, ma non ci sono alternative. Monti, invece di fare generici appelli alla produttività, dovrebbe avere il coraggio di promuovere intese in grado di sancire che «almeno parte dei recuperi della lotta all’evasione verrà destinata ala riduzione del prelievo complessivo: un modo per dare concretezza a una sorta di patto sociale basato su un diffuso consenso nei confronti dell’azione di riduzione dell’evasione». Il presidente della Corte dei conti, Luigi Giampaolino, in audizione al Senato, parla di effetto domino, originato da chi non paga le tasse, con la creazione di un vero e proprio circuito che «inizia dall’Iva e approda alla spesa sociale». Cifre da capogiro. Solo Iva e Irap non pagate valgono 46 miliardi l’anno. Restano fuori da questa cifra, invece, Irpef, Ires, altre imposte sugli affari e i contributi previdenziali. «Nessuno ha la bacchetta magica», ha detto ieri il ministro Vittorio Grilli. Ed è verissimo. La Corte dei Conti denuncia però che c’è addirittura una palese ritrosia  degli apparati amministrativi a «palesare le stime sull’evasione» per paura di strumentalizzazioni. Invece questo aggregato si deve assolutamente aggredire per rendere possibili gli investimenti e per poter abbattere la pressione fiscale. La Corte dei conti stima che con un livello di evasione simile a quello degli Stati Uniti oggi avremmo un rapporto debito/Pil di oltre 30 punti percentuali inferiore all’attuale.

Uil sulle barricate
La Uil non ha dubbi: «Servono scelte e comportamenti diversi». Ma l’esecutivo dei tecnici, forse, non è in grado di farlo. E se ci guardiamo alle spalle ci rendiamo anche conto del perché. Così Luigi Angeletti, parlando alla conferenza organizzativa del sindacato rompe gli indugi e afferma che per lui «il tempo è scaduto: prima il governo se ne va e meglio è. Monti non ha più le risorse politiche né il tempo per fare le cose che servono, in materia di risanamento, di fisco e neppure di produttività». Angeletti è addirittura impietoso: «I tecnici rispondono a input precisi, così non danno fastidio ad alcuni poteri, a cominciare da quello delle banche per finire a quello dei partiti». Contro questo modo di procedere, dice il leader della Uil, avevamo addirittura pensato a uno sciopero generale con l’unico obiettivo di mandare a casa i tecnici, ma poi abbiamo dovuto desistere perché la Cgil e la Cisl si sono tirate indietro. La rottura è più profonda di quanto di possa pensare. Un’insoddisfazione forte, originata dal fatto che mentre il governo annuncia l’arrivo della ripresa già a partire dal 2013, Angeletti è convinto del contrario. «Non abbiamo davanti un’età dell’oro – ha detto – ma tempi di ferro. Il tempo che verrà sarà molto più duro di quello che abbiamo alle spalle». Previsione che, stando a quello che il sindacalista ricorda subito dopo, fa capire quanto pessimistiche possano essere le attese del sindacato. Difficile per i Monti-boys non tenerne conto.

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