“Storia di Piera e delle altre squadriste”

26 Ott 2012 20:46 - di

Anche se ben pochi lo sanno, assieme ai centomila squadristi che parteciparono alla marcia su Roma, il 28 ottobre 1922, c’erano venti donne. La loro comandante era una ragazza toscana, Piera Fondelli, in seguito, dopo le nozze, contessa Piera Gatteschi Fondelli (1902-1985). Raccolsi il suo memoriale nel 1985 e lo pubblicai nel libro “La soldatesse di Mussolini” (Mursia), con il quale, grazie alla sua preziosa testimonianza, potei ricostruire le vicende delle Ausiliarie della Rsi, di cui la contessa Gatteschi Fondelli sarà comandante con il grado di Generale di Brigata.
«Avevo 20 anni», mi raccontò Piera Gatteschi Fondelli, «e la camicia nera e il fez me li ero confezionati in casa, a Roma, con l’aiuto della mamma, che, alla fine, mi aveva appuntato sulla manica e sul berretto due bei gradi dorati: appunto le insegne di “decurione” della “Squadra d’onore di scorta al gagliardetto”. Cosi si chiamava il nostro gruppo.
Fino all’età di 10 anni Piera visse a Greve in Chianti. Poi alcune amiche senesi della mamma, che si erano stabilite a Roma con le rispettive famiglie, convinsero la signora a trasferirsi nella capitale. «Venne il 4 novembre 1918 e i nostri amici, quelli che si erano salvati, tornarono a casa, con l’animo gonfio d’orgoglio per il dovere compiuto e la vittoria riportata sugli austriaci. Ma le aggressioni agli ufficiali erano all’ordine del giorno. I socialisti (ma noi in casa li chiamavamo “i bolscevichi”) bloccavano la città con scioperi, cortei e violenze. Capitava che su un tram viaggiasse un prete, o un ufficiale. Allora la vettura veniva fatta fermare e i malcapitati costretti a scendere tra gli sputi e gli insulti. Episodi che mi indignavano, per cui, col permesso della mamma, andavo anch’io alle manifestazioni di piazza e ai cortei dei nazionalisti e dei reduci. Bottai e gli altri avevano costituito il “Fascio di combattimento” di Roma, con sede in via dei Greci, poi in via Laurina. Mi iscrissi il 23 marzo 1921. Con me, un’altra ragazza, mia compagna all’Istituto di Belle Arti, Ines Donati, che, durante gli scioperi degli spazzini, scopava le strade del centro, circondata dai ragazzi del Fascio, e guai a chi osava metterle le mani addosso. Intanto, il gruppetto delle ragazze fasciste si era ingrossato. Ormai eravamo una decina e andavamo in sede cantando “All’armi, siam fascisti”, nel tempo in cui le ragazze della nostra età cantavano “Creola, dalla bruna aureola”».
Per quelle ragazze in camicia nera, il «battesimo del fuoco» avvenne a San Lorenzo, durante la solenne cerimonia funebre per la traslazione dei resti di Enrico Toti, l’eroe del bersaglieri che, durante la guerra, aveva gettato la stampella oltre la trincea, addosso al nemico. «La piazza», riprese a raccontarmi Piera, «era piena di reduci e di fascisti, quando, dalle finestre circostanti, i “rossi” aprirono il fuoco con pistole e moschetti. Le pallottole fischiavano da ogni parte, molti caddero a terra feriti. Eravamo una ventIna di ragazze e non ci sbandammo, ma organizzammo subito i soccorsi. Questo coraggio che dimostrammo, disarmate, come sempre eravamo state, ci valse l’ammirazione degli uomini. E fu così che, quando i fascisti romani partirono per il congresso di Napoli. il 19 ottobre 1922, ottenemmo di parteciparvi anche noi. Partimmo in treno. Sulle camicie nere indossavamo mantelli grigioverdi. Mussolini pronunciò il discorso del 24 in piazza del Plebiscito quando disse: «Vi giuro, vi prometto che prenderemo il potere. O ce lo daranno, o ce lo prenderemo».
«La mattina dopo, rientrammo a Roma in treno. Dovunque passavamo, erano applausi. I giornali non parlavano che dei drammatici avvenimenti in corso, le colonne erano già in marcia verso la capitale e la gente. che ormai aveva capito come sarebbero andate le cose, si preparava a saltare sul carro del vincitore. Gli ordini che avevamo ricevuto erano precisi: con le mie amiche, avrei dovuto organizzare i posti di pronto soccorso in vari punti della capitale, nella previsione di scontri sanguinosi». In effetti, si dava per certo che l’Esercito avrebbe ricevuto l’ordine di sbarrare la strada ai fascisti.  «Quasi stentavamo a renderci conto di come il Paese, il Re, l’Esercito, i Prefetti, insomma tutta l’Italia si fosse consegnata a noi, un pugno di uomini e, sia pure in piccolissima percentuale, di donne, decisi a tutto pur di riportare l’ordine nelle strade. nelle scuole, nelle fabbriche». Passati quei giorni «giunse l’ordine di smobilitare e noi ragazze della “Squadra d’onore di scorta al gagliardetto”, disciplinate, e senza far storie, riponemmo la camicia nera nell’armadio e tornammo a mettere le gonne che, secondo la moda, andavano facendosi sempre piu corte. Piu tardi saremmo tornate in divisa, Ma questa è un’altra storia».  
Piera Gatteschi Fondelli riposa nella tomba di famiglia, a Greve in Chianti.

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