Nei licei romani si aggira il fantasma dell’«uomo nero»
«Ma guarda questi», s’è detto Biagio Cacciola, dirigente del Fronte della Gioventù a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, leggendo del Blocco studentesco di Roma e dell’incursione (riuscita) al liceo Giulio Cesare e (tentata) al liceo Mameli per protestare contro i tagli alla scuola del governo Monti. «Guarda questi», ma con tutt’altro spirito, devono essersi detti anche i militanti di Lotta studentesca. All’indomani del blitz del Blocco, anche l’organizzazione che fa capo a Forza Nuova è entrata in una scuola, l’istituto Galilei, con fumogeni e volantini alimentando nuove polemiche dopo quelle che avevano investito le incursioni “originali”. E nuove censure, nuovi allarmi e nuove messe al bando si sono aggiunte a quelle che già avevano colpito il movimento studentesco di Casapound.
«Una protesta così non fa presa tra gli studenti», commenta ancora Cacciola, che oggi è professore di liceo e ricorda che «noi stavamo nelle scuole, puntavamo a gestire le assemblee, presentavamo ordini del giorno molto caratterizzati per portare verso di noi l’attenzione degli studenti. È chiaro che una parte dell’assemblea era contraria e che una parte era indifferente, ma comunque riuscivamo a fare aggregazione». Dunque, la destra giovanile di una trentina d’anni fa puntava tutto sulla bassa frequenza, «creando una situazione che spaccava quel fronte, ma sempre con una presenza nella scuola o nella università che non rappresentava un corpo estraneo». Un modo che, comunque, non ha messo al riparo quella generazione da episodi in cui l’agibilità politica è stata conquistata a prezzo di situazioni non esattamente improntate al confronto civile: «Andavamo spesso al Vivona, dove avevamo una presenza fortemente radicata. Una volta, mentre stavamo davanti alla scuola, arrivarono degli squadristi rossi e diedero vita a una violenta sassaiola. Fui colpito al malleolo e caddi, sentii qualcuno dire “Biagio è morto”, ma a fatica, per il dolore, riuscii a rassicurare gli altri che non era così». Più grave l’episodio di cui Cacciola fu vittima alla Sapienza: venne prelevato da un corteo antifascista mentre era a lezione, nell’indifferenza del professore e degli studenti, e riuscì a salvarsi solo lanciandosi da una finestra del secondo piano. Ora che gli studenti li osserva dall’altra parte della cattedra, spiega che «il prototipo dello studente è cambiato, le cose massimaliste non funzionano, una politica dei piccoli gesti è più importante dei gesti eclatanti, sarebbe stato più efficace mobilitare tutti gli studenti, che so, sugli orari dell’Atac che mettere in piedi una forma di protesta come quella dell’altro giorno».
Dal Blocco però ricordano che proprio sul sindacalismo studentesco hanno costruito il consenso di questi anni tra i ragazzi di scuole e università. «Le azioni dimostrative sono solo uno dei modi con cui facciamo politica. C’è anche tutto un lavoro certosino, quotidiano che poi ti porta a risultati come quello di Tor Vergata, dove abbiamo preso 1107 voti e il primo degli eletti al Senato accademico», spiega Davide Di Stefano, responsabile nazionale del movimento. Dell’azione al Giulio Cesare e al Mameli, dove peraltro il Blocco studentesco ha un interno, Di Stefano ammette che «alcune modalità potevano essere migliori», più che altro però «per evitare che venissero male interpretate». Emerge a questo punto la questione mediatica, che per gli attivisti di oggi è importante tanto quanto lo sono i volantinaggi ed è terreno politico tanto quanto lo erano trent’anni fa i piazzali davanti alle scuole. Si capisce, dalle parole di Di Stefano, che l’azione al Giulio Cesare e al Mameli aveva anche, se non esclusivamente, delle finalità mediatiche, che forse sono sfuggite di mano. «Sarà stata pure una forma di protesta un po’ forte, ma non è successo nulla ed è stata enfatizzata con toni iperbolici», dice Di Stefano, ricordando che «abbiamo fatto una manifestazione con duemila studenti davanti a Palazzo Chigi e non è uscita da nessuna parte, abbiamo fatto un’occupazione simbolica del Parlamento europeo con un centinaio di militanti e non è uscita nemmeno una riga, poi una cosa simile l’hanno fatta dieci militanti dell’Unione degli studenti e ci sono state paginate, abbiamo calato uno striscione contro Monti dall’Altare della Patria e silenzio, abbiamo fatto azioni coordinate in tutta Italia e ancora niente». «Ora facciamo questa manifestazione e succede un putiferio. Sono sicuro che se l’avessimo fatto in un liceo di Tor Bella Monaca nessuno avrebbe detto nulla, invece se fai qualcosa in una scuola del centro…», conclude Di Stefano, che liquida l’emulazione di Lotta studentesca con poche parole: «Le nostre azioni funzionano e spesso risultano spettacolari e di rottura, per questo veniamo copiati sia a destra che a sinistra».