L’addio di Prodi è stato più bello? Ma fateci il piacere…
L’arrivederci di Berlusconi ha scatenato la fantasia di molti cronisti, a caccia di dichiarazioni e commenti, retroscena e ricostruzioni, racconti psicologici sullo stato d’animo del Cavaliere e sul “cosa farà da grande”. Hanno intervistato tutti. E tutti hanno affermato qualcosa. Ma il parallelo più paradossale è stato quello con Prodi. Il presupposto: ora gli antichi rivali hanno entrambi detto addio. Ma chi l’ha fatto per primo? Prodi, naturalmente. Che all’improvviso si è ritrovato con circondato dai microfoni, «che ne pensa del Cav?», «come giudica la sua decisione?». E il Prof ulivista ha dato una prima risposta, un po’ stizzosa: «Aspettate a fare i titoli perché non si sa mai». Perché l’addio più “affascinante” e “coraggioso” è stato il suo: «Mi occupo ormai di Africa, ho un incarico a tempo pieno per il Sahel. Dalla politica io sono uscito». Poi ha aggiunto: «La prossima settimana chiudo tutto, anche gli impegni accademici. A 73 anni – ha spiegato – è bello cambiare vita». Giustissimo. C’è un “però”. Berlusconi, lo si voglia ammettere o meno, ha caratterizzato per diciotto anni la politica. Di Prodi si ricorda una piccola parentesi, politicamente tragica, il peggior governo che la Repubblica italiana ricordi, 722 giorni da cancellare. C’erano tutti, nell’insalatona ulivista, da D’Alema a Rutelli, da Amato a Ferrero fino a Pecoraro Scanio. C’erano nostalgici comunisti e nostalgici democristiani. Fino alla sconfitta. C’è addio e addio. Quello di Prodi è stato diverso. Fortunatamente ha deciso di cambiare vita.