L’addio della Melandri: solo un cambio di poltrona
Il problema di chiedere o meno la deroga al partito per essere ricandidata Giovanna Melandri non l’avrà. Da ieri la deputata del Pd ha già un nuovo incarico bell’e pronto: il ministro dei Beni culturali Lorenzo Ornaghi l’ha ufficialmente designata come nuovo presidente della Fondazione Maxxi, il Museo nazionale delle arti del XXI secolo. L’incarico sarà assunto formalmente dopo il 31 ottobre, quando finirà il mandato del commissario Antonia Pasqua Recchia, segretario generale del Mibac nominata a maggio per ripianare il bilancio del Museo.
La nomina della Melandri sarà presentata martedì, nel corso di una conferenza stampa convocata per «illustrare – si legge in un comunicato del ministero – le principali linee di azione del museo» e per – si ipotizza – motivare l’assegnazione dell’incarico all’ex ministro dei Beni culturali e attuale parlamentare del Pd. Un’anticipazione, intanto, si coglie dalla nota che ha confermato la notizia, che era già apparsa come indiscrezione sul Corriere della sera di ieri. La Melandri, infatti, viene presentata come «promotrice della legge istitutiva del Centro per la documentazione e la valorizzazione delle arti contemporanee e di nuovi musei, primo nucleo del Maxxi». Come a voler far passare il messaggio che nessuno potrà curare la creatura Maxxi meglio della sua protomamma.
Un ministro tecnico che nomina una figura così prepotentemente politica alla guida di una istituzione pubblica fa pensare al mondo alla rovescia, ma soprattutto apre un numero infinito di interrogativi e perplessità.
Le ragioni per parlare quanto meno di passo falso, tanto da parte del governo quanto da parte della Melandri che ha accettato entusiasta, sono state elencate nei commenti arrivati da tutti i partiti. Anche perché, come ha ricordato il capogruppo della Lega alla Camera, Gianpalo Dozzo, c’è pure un precedente: la nomina dell’allora deputato del Pd Luigi Nicolais alla presidenza del Cnr. «Forse qualche professore affezionato alla poltrona ministeriale, vorrebbe assicurarsi la benevolenza dei politici “amici” anche per il governo della prossima legislatura», è stato il commento del leghista, che ha parlato di «vera e propria lottizzazione».
Anche per Maurizio Gasparri, per il quale la nomina della Melandri è «sconcertante», «assistiamo a un episodio di inspiegabile e selvaggia lottizzazione». Per il suo omologo alla Camera, Fabrizio Cicchitto, poi, «quello che ha fatto il ministro Ornaghi ha dell’incredibile. Ho la massima stima per Melandri, ma proprio per questo e per il riconoscimento della sua caratterizzazione politica molto marcata, reputo la nomina un autentico fuor d’opera». Anche Cicchitto, poi, ha ricordato che si tratta del «secondo deputato del Pd che viene chiamato a un alto incarico tecnico con scelte francamente inaccettabili, anche perché questo governo non ha il nostro voto per risolvere problemi di organigramma e magari di rinnovamento del Pd».
Su questo aspetto s’è concentrato più d’un commento, tanto più che la nomina è arrivata proprio nel mezzo delle “riflessioni” interne al Pd su come e quanti parlamentari di vecchio corso vadano salvati o rottamati. «Non penso che qualcuno abbia creduto alla reale consistenza del nobile atto di Giovanna Melandri di fare un passo indietro e non farsi ricandidare in Parlamento», ha sottolineato la deputata del Pdl Barbara Saltamartini, secondo la quale è «facile lasciare lo scranno, se è già pronta una nomina di prestigio». Di una nomina che «sembra tanto una “ricompensa” per la decisione di non ricandidarsi in Parlamento» ha parlato poi Paola Frassinetti, ricordando che per un incarico di quel genere l’unico metro dovrebbe essere «una seria valutazione meritocratica». Per Teodoro Buontempo della Destra «il Pd comincia a utilizzare le istituzioni pubbliche come ufficio di collocamento», mentre il capogruppo dell’Udc Gian Luca Galletti ha parlato di «nomina del tutto inopportuna» e la responsabile cultura dell’Idv Giulia Rodano ha sottolineato «l’opacità del metodo scelto» da parte di Ornaghi. È stato poi Francesco Giro a lanciare una riflessione più generale. «La politica non può sembrare così pervasiva e onnipresente», ha detto l’ex sottosegretario ai Beni culturali. «I tempi impongono alla classe politica di assumere scelte di grande sobrietà», ha aggiunto, avvertendo che «francamente non sarò nelle condizioni di difendere e ratificare questa scelta in commissione cultura della Camera, qualora venisse interpellata, come credo, per un parere di merito».