Alberto Giovannini una firma fuori dal coro
Quella di una destra alleata con la sinistra in funzione anti-sistema e di un fascismo alleato con pezzi dell’antifascismo è stata nella storia più che una speranza di pochi intellettuali. Il 25 aprile del 1945 Mussolini stesso avrebbe ricevuto un pressante invito in questa direzione da parte di Alberto Giovannini, giornalista, fascista repubblicano e penna controcorrente, di cui in questi giorni ricorre il centenario della nascita. Al Duce, Giovannini avrebbe manifestato l’esigenza di realizzare una linea di convergenza tra i fascisti e i socialisti, accomunati da un medesimo ideale repubblicano e movimentista: un tentativo estremo che non diede i frutti sperati, perché oramai i destini dell’Italia e del Fascismo erano segnati, con le drammatiche conseguenze che tutti conosciamo.
Nel ricordare l’esperienza culturale di Alberto Giovannini – che ha diretto il Secolo d’Italia fino alla morte, avvenuta nell’ottobre del 1984 – non si può non scorgere il sussulto di un uomo libero, che della libertà ha fatto la bandiera del proprio essere giornalista. Dal 1935, allora ventitreenne, assume la direzione del periodico “L’Assalto”, espressione del Gruppo Universitario Fascista (Guf). Ci si aspetterebbe una rivista appiattita sui dettami del Regime e invece, sotto la sua guida la pubblicazione assume la funzione di sentinella critica e non conformista, rivendicando con forza il ruolo movimentista e rivoluzionario del primo fascismo.
Poco dopo, Giovannini comincia a collaborare con il “Popolo d’Italia”, per poi trasferirsi a Mogadiscio, da cui dirige fino al 1940 il giornale “Somalia fascista”. Durante il periodo della Repubblica Sociale Italiana viene chiamato a dirigere il settimanale “L’Ora”, edito da Mondatori. Nel 1946 le sue posizioni antisistema gli provocano seri guai giudiziari: Giovannini fonda, infatti, il “Rosso e nero”, settimanale dalle cui colonne continua a portare avanti il proprio progetto di conciliare l’esperienza degli ex fascisti con le linee politiche dei socialisti. Accusato di apologia di fascismo, il giornale viene sequestrato e lui è denunciato e mandato al confino in Abruzzo.
Nonostante i guai con la legge, l’esperienza del settimanale lascia un segno, prova ne sono collaboratori del calibro di Ignazio Silone, socialista ed esule antifascista, e del giornalista Ugo Zatterin, già cronista dell’”Avanti”, che sposano in pieno la linea politica espressa attraverso la testata. Secondo Giovannini, «conclusa definitivamente l’esperienza del fascismo, coloro che in esso avevano confidato e creduto non dovevano sentirsi impegnati in una linea univoca legata al passato, ma scegliere secondo collocazioni connesse a distinte opzioni in materia sociale». Silone stesso spinge in quel periodo per promuovere una formazione composta da giovani ex fascisti e socialisti, con l’esigenza di «superare fascismo e antifascismo e comprendere il comportamento di quanti hanno militato nel fascismo»; il suo progetto però venne bloccato sul nascere dai vertici del Partito socialista di unità proletaria.
Conclusa l’esperienza del “Rosso e nero” e rientrato a Roma dal confino, Giovannini aderisce al Msi, nelle cui fila confluiscono anche i sostenitori del cosiddetto «Fascismo di sinistra», e continua a scrivere, lavorando al quotidiano “Il Tempo” e scrivendo per la leggendaria rivista “Il Borghese” fondata da Leo Longanesi. Nel febbraio del 1959 desta un certo scalpore la sua «Lettera aperta a Marzia» (dal nome della figlia), nella quale Giovannini spiega ai lettori gli avvenimenti accaduti durante il periodo della Repubblica Sociale Italiana.
Nel 1957 l’armatore Achille Lauro gli affida la guida del “Roma” di Napoli, che dirige ininterrottamente per dieci anni e poi nuovamente a fine anni settanta. Dal 1972 al 1975 dirige anche la storica testata “Il Giornale d’Italia”.
Nel 1982, Giorgio Almirante lo chiama alla direzione del Secolo d’Italia: è questo l’ultimo impegno della sua vita giornalistica, ma anche il coronamento di una lunga attività professionale, mai piegata alle logiche del potere e sempre controcorrente rispetto alla cultura dominante. Obiettivo della sua direzione è di trasformare il “Secolo” da giornale di partito a quotidiano d’area, chiamando a collaborare numerosi scrittori e intellettuali di destra. E alla morte di Enrico Berlinguer, è proprio Alberto Giovannini, dalle colonne del Secolo d’Italia, a salutare con rispetto il segretario del Pci, giudicandolo come un avversario leale e sottolineando la sua onestà politica e intellettuale.