Monti vuol (ri)marciare su Roma. Unelected
Non è andato a New York per fare il tassinaro e neppure per trovarsi nelle situazioni “pericolose” in cui si trovò Alberto Sordi nel suo famoso film. Lui è il presidente del Consiglio italiano. «Tecnico», ha specificato Monti in ogni occasione. Si è trovato a Palazzo Chigi quasi per caso, chiamato a gran voce per traghettare il Paese su sponde sicure, salvarlo dal naufragio, fare un nuovo miracolo economico (che non c’è mai stato, ma questo è un dettaglio). Perché, ribadisce, è un professorone «tecnico» e – in quanto tale – conosce le materie meglio degli altri. Salvo però trasformarsi rapidamente in «politico» quando gli serve. Aveva sempre detto che non si sarebbe ricandidato, che l’ipotesi di un suo ritorno alla guida dell’esecutivo era solo frutto della fantasia dei cronisti. Ma l’aria di New York gli ha fatto cambiare idea. «Prenderei in considerazione un secondo mandato solo in circostanze particolari e se richiesto dalle forze politiche in campo», ha detto al Council of Foreign Relations. «Dopo le elezioni sarò disponibile se richiesto. Dopo le elezioni io sarò lì». Difficile capire se sia una promessa o una minaccia. Ma quelle parole segnano l’ennesima giravolta. Non si candiderà, ha poi spiegato. E questo era facilmente immaginabile, candidarsi significa misurarsi col voto e lui questo vuole evitarlo. Tanto per cancellare gli equivoci, ha ricordato – per la seconda volta nel suo viaggio in America – di essere «senatore a vita». Non specificando, però, di esserlo diventato all’improvviso, qualche ora prima di essere nominato premier, una circostanza che allora creò imbarazzi e proteste. Monti è dunque «tecnico» quando c’è da chiedere i voti e «politico» quando c’è da governare. Sì, perché tutti oggi sostengono che il prossimo governo dev’essere politico. E lui si è adeguato, diventando «politico». Una mossa da giocatore di scacchi che farà felici i Casini che lo adorano. Tant’è che il leader dell’Udc ha subito annunciato: «Le nostre liste saranno per il Monti-bis».
L’accenno al Cavaliere
Il viaggio in America gli è servito per fare rapporto e rinnovare il credito. Poi ha parlato di Berlusconi: «Fu lui in un certo senso a scoprirmi nel 1994 nominandomi Commissario Ue». Il Cavaliere, gli hanno chiesto, potrebbe ricandidarsi, che cosa ne pensa? «Trovo assolutamente normale che il leader di un grande partito come il Pdl si ricandidi. Ma non è che in questi mesi se n’è andato su un’isola deserta». E mentre il premier sostituiva le dichiarazioni in cui annunciava che dopo le elezioni lascerà il campo ai politici con una maliziosa disponibilità, se richiesto, a proseguire l’impegno a Palazzo Chigi, i montiani del Pd (la corrente di Veltroni) si sono mobilitati e, con lo slogan “cento di queste riforme”, sabato si riuniranno a Roma. L’auspicio è che «gli obiettivi e i principi ispiratori di questo governo possano travalicare i limiti temporali di questa legislatura».
Una partita tutta da interpretare
Gli schieramenti, dunque, si vanno delineando. Manca solo la legge elettorale. In quanto elemento essenziale perché il professore possa rimanere a Palazzo Chigi è che nessuno vinca le elezioni di primavera prossima. Se nessun partito prevale è più facile che, alla fine, dal cilindro esca ancora il nome di Monti. Nei mesi che rimangono, però, gli italiani avranno modo di rendersi conto che la bacchetta magica del premier tecnico non ha fatto il miracolo. «In Italia – ha detto il presidente del Consiglio – stiamo cercando di rallentare l’aumento del debito attraverso politiche rigorose su deficit e un piano di privatizzazioni».
La situazione peggiora
I risultati? Per ora non si vedono. Le privatizzazioni non si sa quando e come verranno fatte, mentre il debito continua ad aumentare trascinato al rialzo da una spesa pubblica la cui crescita è lungi dall’essere bloccata. Le politiche adottate finora sono state tutte indirizzate ad aumentare le entrate. I balzelli si moltiplicano, mentre le accise crescono, le addizionali pure e l’Imu fa impallidire il ricordo dell’odiata Ici cancellata dal governo Berlusconi e introdotta da Monti con mora e interessi. Una politica che impoverisce il Paese e crea recessione. Non a caso quest’anno il Pil si ridurrà di un altro 2,4 per cento, i redditi delle famiglie di operai e impiegati perderanno potere d’acquisto e i consumi caleranno. Si venderà di meno, quindi si produrrà anche di meno e si perderanno posti di lavoro. E la crescita? Monti la vede in fondo al tunnel…