Il Parlamento non si salva con una legge
La legittimità di un Parlamento non dipende dal meccanismo di elezione e – forse paradossalmente – nemmeno dalla dignità dei suoi componenti, bensì dalle sue funzioni. La crisi del nostro Parlamento dipende da fattori storici e oggettivi, quali il trasferimento di sovranità ad altri livelli decisionali: le regioni, la commissione europea, i “mercati”… Si tratta di una crisi che si avverte in tutte le democrazie, perché i governi nazionali sono assolutamente disarmati nei confronti dei poteri sovranazionali e dimostrano sempre più di essere incapaci di garantire la sovranità dei popoli. Se i parlamentari fossero votati in modi diversi questo non cambierebbe. Un consigliere regionale conta oggettivamente di più di un deputato perché gestisce potere reale fatto di soldi, nomine e posti di lavoro. Nella prima repubblica gli “onorevoli” erano rispettati non perché fossero più degni ma perché avevano (ahinoi) maggiori possibilità di violare le regole a favore dei propri “clientes” in un sistema quasi feudale che oggi è stato “espropriato” da chi governa il territorio. C’è una profonda differenza tra popolo e nazione e gli individui e i territori che li compongono e il Parlamento serve (se ancora serve) per garantire l’interesse della nazione e la sovranità del popolo e non perché ogni suo singolo componente possa dare “risposte” ai suoi più o meno numerosi “azionisti di riferimento”. Il problema odierno delle democrazie non è quindi nella inadeguatezza dell’assemblea legislativa, ma nella debolezza dell’esecutivo. La sovranità popolare si difende solo rafforzando i poteri del governo nazionale nei confronti delle interferenze esterne. Per questo serve che i cittadini scelgano direttamente il premier e sappiano che governo votano e con quale programma. Tutte cose che le attuali proposte di riforma sembrano voler negare. Un Parlamento forte è espressione di un popolo forte. Evidentemente c’è chi vuole un parlamento debole, per permettere che i giochi si facciano altrove.