Rai, lo scontro è istituzionale. Voto a oltranza
Fumata nera anche ieri in commissione Vigilanza Rai, convocata per eleggere il nuovo Cda di viale Mazzini. Mentre si sfiora lo scontro istituzionale con la bagarre scatenata a Palazzo Madama dai Democratici e l’entrata a gamba testa di Fini sul collega Schifani, la nuova seduta viene fissata per questa mattina alle 9. Si procederà a oltranza, dopo la mancanza del numero legale di ieri e i due tentativi di martedì sera finiti in un nulla di fatto.
A surriscaldare il clima, dopo la disponibilità della Lega a convergere su Luisa Todini in quota Pdl, arriva il fuor d’opera del senatore Paolo Amato che in mattinata annuncia a sorpresa il suo voto per la candidata del Terzo Polo, pescata nel vivaio del comitato “Se non ora quando?” (sponsorizzata da Fli e appoggiata da parte del Pd). Di lì a poco l’annuncio alle agenzie delle dimissioni dalla Vigilanza e la reazione del Pdl che decide di non partecipare alla seduta: in una nota congiunta Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello chiedono i «tempi tecnici» necessari per la sostituzione del commissario. «In un colloquio successivo alla sua sorprendente dichiarazione all’Ansa il senatore Amato ci ha comunicato la sua volontà di dimettersi dal gruppo del Pdl», spiega un irritato Gasparri, «la sua sostituzione comporta dei tempi ai quali adempiremo il più rapidamente possibile, ma che ci impediscono di garantire lo svolgimento della votazione per il rinnovo del Cda». Il Pd non aspetta altro per scatenare un putiferio denunciando il comportamento «scorretto» e «irresponsabile» del centrodestra. Se Pier Luigi Bersani pretende dal governo il commissariamento della tv pubblica in compagnia di Fli e Udc, Marco Follini propone la «soppressione» della Vigilanza Rai. Il vertice a Palazzo San Macuto dei consiglieri pidiellini sul caso-Amato si conclude con la richiesta al presidente Zavoli di rinviare la seduta fino alla nuova composizione.
Sotto il pressing di Pasquale Viespoli, capogruppo al Senato di Coesione Nazionale, che da settimane (agli atti una lettera datata 12 giugno) sollecita i presidenti dei due rami del Parlamento alla nomina di un rappresentante del suo gruppo come prevede la legge istitutiva della Vigilanza Rai, Schifani passa ai fatti e lo integra in Vigilanza in sostituzione di Amato. Ricevuta la lettera di Viespoli, Gianfranco Fini rimanda la patata bollente al collega di Palazzo Madama visto che il gruppo Coesione Nazionale non è presente a Montecitorio. La new entry di Viespoli scatena la reazione dei Democratici e la tensione si trasferisce nell’aula del Senato dove una Finocchiaro versione Erinni denuncia «l’atto illegittimo da parte di Schifani, assolutamente parziale a favore del Pdl». Poco dopo è lo stesso Fini a scendere in campo denunciando la «scelta inaudita» del collega Schifani. «Non è sulla correttezza formale che bisogna riflettere», dice, «ma sulla tempistica della decisione del presidente Schifani. Mi auguro che sentirà il dovere di chiarire perché essa sia improvvisamente maturata solo oggi, con la commissione di Vigilanza già costituitasi in seggio elettorale per eleggere il Cda». Fini dice apertamente di «sospettare» che la seconda carica dello Stato abbia agito per evitare «un esito della votazione non gradito al Pdl». In un crescendo rossiniano Schifani, che ha provveduto ad applicare la legge istitutiva della Vigilanza, viene “passato per le armi” da un asse trasversale tenacemente anti-Pdl. «Non è la prima volta che la seconda carica dello Stato toglie i panni dell’arbitro e scende in campo a giocare la partita truccando il risultato finale», tuona il dipietrista Belisario, «la decisione di Schifani mette in crisi la credibilità della presidenza del Senato», gli fa eco il centrista Gianpiero D’Alia, «di goccia che fa traboccare il vaso» parla invece Flavia Perina tra le principali sostenitrici della Piccoli Nardelli. «È lo stesso Amato a definire corrette le procedure di Schifani – replica Gasparri attribuendo a sé la decisione di dichiarare in eccedenza il senatore “ribelle” – ed è così, perché dal 12 giugno Viespoli aveva espresso la necessità di dare rappresentanza a Coesione nazionale. Basta con l’ipocrisia». In seguito al ricalcolo proporzionale dei 20 seggi spettanti ai gruppi del Senato, infatti, è risultato che il Pdl, finora rappresentato da 9 senatori, dovesse rinunciare a un componente. «Il comportamento di Schifani è impeccabile: è proprio la legge 103 del 1975 a stabilire, e non casualmente all’articolo 1, che ogni gruppo rappresentato almeno in un ramo del Parlamento abbia un proprio esponente», risponde Landolfi che di Vigilanza Rai.
«Non ho parole», va giù duro Ignazio La Russa, «Fini ridotto a reggere la coda degli interessi della sinistra mi fa male». Schifani si sottrae al derby («è sereno e tranquillo per aver rispettato le regole», dicono dal suo staff) mentre Riccardo Villari, di Coesione nazionale, ricorda che nel 2009 «fu proprio Fini ad accettare un colpo di mano contro le istituzioni sciogliendo la commissione allora presieduta da me». Del resto, commenta Gaetano Quagliariello, «Fini lo aveva annunciato e ha tenuto fede alle sue parole: è iniziata la campagna elettorale».