Moody’s? Fa il tifo per Monti
Un anno vissuto pericolosamente, con i mercati in agitazione perenne, lo spread che, dopo otto mesi di governo Monti, si mantiene costantemente sui 480 punti base, le agenzie di rating che passano da un declassamento all’altro. 330 miliardi di manovre in quattro anni hanno messo il Paese in ginocchio (l’Istat certifica 8 milioni di poveri) ma non sono riuscite a tranquillizzare i padroni del rating che adesso dicono di temere il dopo elezioni quando, nel 2013, i tecnici andranno a casa. Hanno contribuito a commissariare l’Italia nel 2011, con l’insediamento a Palazzo Chigi di una persona gradita alla grande finanza, e non vogliono mollare l’osso. Ecco quindi che, non appena si vanno delineando scenari di ritorno alla politica, Moody’s si rifà viva e declassa tutto il declassabile. E non perché Btp e Bot siano diventati meno affidabili, non perché l’Italia potrebbe non essere in grado di pagare le cedole in scandenza (in un anno sono passate da 70 a 85 miliardi l’anno), ma perché con la prossima consultazione elettorale la politica potrebbe tornare al ruolo che le compete. È evidente che c’è dietro un’offensiva preventiva per fare in modo che nulla cambi. I tecnici al governo piacciono al grande capitale e alle banche, più di quanto non piacciono i politici. L’economia produttiva, però, non ce la fa più. Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, ieri ha parlato molto chiaro. «Per il futuro di questo Paese – ha detto – serve il ritorno alla vera politica». Eppure c’è chi pensa che si possa andare avanti riproponendo il passato…